È in libreria “Le Storie del Novecento” 2001
6 December 2002
Le Storie del Novecento – Prefazione
I grandi eventi della storia – le loro complessità e dinamiche sociali – sono un patrimonio che appartiene al pensiero e all’analisi dello storico, mentre la letteratura si nutre delle emozioni e degli stati d’animo di chi è stato protagonista o semplice comparsa di un frammento del grande evento. Questa è la linea di demarcazione che sembra ormai aver preso il sopravvento nel pensiero comune. Lo storico viene battezzato in quanto tale e costretto a star seduto da un lato della scrivania, e lo scrittore a sua volta dall’altro, relegando entrambi a ruoli con poche opportunità di comunicazione, e unificati solo dalla voglia di vivere con una penna in mano.
Insomma ad ognuno la sua parte. Si condivide il tavolo ma non la cena. Un concetto che peraltro è in sintonia con una tendenza generale dei diversi settori vitali della nostra società, dove ognuno è proprietario di un compito ben definito e tira acqua al mulino della propria scienza.
La non troppo velata incompatibilità che esiste spinge a definire lo storico come essenza razionale e lucida, padrone della sua analisi da contrapporre ad eventuali altre differenti valutazioni, mentre lo scrittore è essenza emotiva, demone che brucia sulla strada della ricerca dei sentimenti che rendono vivo un momento di quotidianità. Lo scrittore sottolinea le piccole profondità collettive, capace di riflettere sul caos e sui momenti scuri, riordinando tracce, percorsi, episodi nel tentativo di ricostruire una gerarchia degli avvenimenti.
Quasi come il paziente seduto sul lettino dello psicanalista che perde di vista l’insieme per lasciarsi andare nel ricordo e nella narrazione dei piccoli, apparentemente marginali, momenti della sua vita, dei significato delle sue frasi, specchio di un’interiorità alla ricerca di un riordino finalizzato alla comprensione del proprio essere.
Il rischio di questa frattura è di ritrovarsi imbottigliati in una strada senza via d’uscita dove, come succede tra automobilisti in autostrada a ferragosto, storici e scrittori si guardano in cagnesco, cercando di passare uno prima dell’altro, e lanciandosi accuse reciproche di “noia”, “superficialità”, “elitarismo”, con dibattiti che aprono grandi polemiche, e lasciano poca sostanza alla conclusione dei lavori. Forse in questa specie di cul-de-sac ci si dimentica spesso delle opportunità offerte dai due diversi contendenti e del reciproco materiale cui si può attingere per sviluppare al meglio il proprio lavoro.
Forse i “duellanti” dovrebbero chiudere nel cassetto la determinazione del proprio ruolo e sviluppare la coscienza che solo la presenza di due diverse facce permette di produrre una medaglia.
In questo senso la storia del secolo appena concluso ne è un buon esempio. Mentre la comprensione dei primi cinquant’anni è stata predominio quasi esclusivo del punto di vista dello storico, la parte rimanente brilla di una capacità di maggior narrazione.
I primi cinquant’anni del Novecento italiano sono stati condivisi con il resto dell’Europa in un comune mutamento sociale e nel dramma della guerra, e la successiva libertà di pensiero e di stampa dopo la violenza dei regimi esistenti ne hanno permesso uno sviluppo di ampio respiro. Forse c’era urgente la necessità di spiegare quanto successo prima ancora di raccontarlo (magari con l’inconsapevole desiderio di dimenticare il dramma). I rimanenti cinquanta si sono invece nutriti di una peculiarità tutta di casa nostra fatta di una storia parallela che non ha eguali nel resto del vecchio continente.
Sotto i nostri occhi c’è un’Italia con una storia parallela a quella ufficiale, sotterranea, fatta di un neonato benessere, di cambiamenti epocali di vita quotidiana e di grandi misteri nati dal connubio tra affari, politica, malavita e idealità. Sogni e stragi. Vita e morte. Un serbatoio di avvenimenti ed emozioni da cui uno scrittore non si può esonerare dall’attingere prezioso materiale e che per lo storico, nella sua funzione, rappresenta forse un campo minato anche per la rapidità del loro sviluppo.
Credo che l’esperienza del concorso letterario “Le Storie del Novecento” porti in sé il positivo di vedere attorno ad un tavolo – questa volta tutto rotondo, su un piano di parità e collaborazione – addetti ai lavori della storiografia e della narrazione con l’intendo di sciogliere la matassa dei ruoli definiti, di comprendere il significato reciproco del lavoro di ognuno, che scorre nel nome di un allargamento della visuale della conoscenza.
Da questa esperienza nasce una terza antologia valorizzata da racconti che nell’insieme hanno saputo dare un profilo ai momenti essenziali del nostro secolo, capaci di uscire anche dall’area temporale della seconda guerra, quinquennio con il quale troppo spesso si identifica l’essenza del secolo.
Il primo racconto (che è quello vincitore del concorso), per esempio, individua proprio nel recente fenomeno del terrorismo lo spunto per una storia, facendolo uscire per un istante dal ghetto del silenzio in cui è stato relegato, come se il tacere ci salvi dal pericolo degli anni di piombo, e delle mille diverse responsabilità che li hanno circondati. Salvo trovarsi impreparati e meravigliati di fronte ad un suo rigurgito.
Storia e Storie. La strada è lunga e la si può fare tenendosi sottobraccio.
Angelo Marenzana