Le proposte dell’Isral per le risorse per la dad si arricchiscono oggi di un’interessante proposta di Franco Castelli, direttore del Centro di Cultura popolare “G. Ferraro” del nostro Istituto: una riflessione su una canzone del passato, che ben fotografa la paura che più attanagliava il mondo occidentale sul finire degli anni Cinquanta: quella della bomba atomica. Ora che una nuova paura serpeggia tra di noi, la canzone scritta da Italo Calvino, con il suo forte e sarcastico richiamo antimilitarista fa riflettere sui complessi rapporti tra ambiente, salute, e volontà di pace.
“Era il Primo Maggio 1958. Questa canzone, testo di Italo Calvino e musica di Sergio Liberovici, risuonava per le strade di Torino, da un gracchiante altoparlante piazzato sopra una Fiat seicento.
Faceva parte della primissima produzione poetico-musicale di un drappello di intellettuali di sinistra che, sull’onda di quanto avveniva da tempo in Germania e in Francia, si proponeva di comporre delle canzoni che rispecchiassero la realtà di tutti i giorni, i problemi della gente, non le fasulle e melense canzonette con la rima “cuore-amore”. Canzoni che affrontassero anche i temi della cronaca e della politica. Erano i CANTACRONACHE, e nei cinque anni della loro attività (1958-1962) produssero una rivista, alcuni dischi, un centinaio di testi, con i quali sancirono l’inizio della canzone d’autore in Italia.
Nel loro primo disco “Cantacronache sperimentale”, che comprendeva quattro canzoni, c’era questa “Dove vola l’avvoltoio”, che nel clima pesante della guerra fredda, affrontava la paura della bomba atomica e con il suo icastico ritornello, lanciava un forte messaggio antibellicista. Forse non fa male, oggi che un’altra paura attanaglia il mondo intero, riascoltare (e per i giovani scoprire) questa canzone di sessant’anni fa, per riflettere sull’ inestricabile nesso che lega lotta per l’ambiente (e per la salute) e volontà di pace.
Dove vola l’avvoltoio
Un giorno nel mondo
finita fu l’ultima guerra,
il cupo cannone si tacque
e più non sparò,
e privo del tristo suo cibo
dall’arida terra,
un branco di neri avvoltoi
si levò.
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò dal fiume
ed il fiume disse: “No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar”.
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò dal bosco
ed il bosco disse: No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Tra le foglie in mezzo ai rami
passan sol raggi di sole,
gli scoiattoli e le rane
non più i colpi del fucil.
Dove vola l’avvoltoio?
l’avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò dall’eco
e anche l’eco disse No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Sono canti che io porto
sono i tonfi delle zappe,
girotondi e ninnenanne,
non più il rombo del cannon.
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò ai tedeschi
e i tedeschi disse: No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
Non vogliam mangiar più fango,
odio e piombo nelle guerre,
pane e case in terra altrui
non vogliamo più rubar.
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò alla madre
e la madre disse: No
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
I miei figli li dò solo
a una bella fidanzata
che li porti nel suo letto
non li mando più a ammazzar.
Dove vola l’avvoltoio
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
L’avvoltoio andò all’uranio
e l’uranio disse: No,
avvoltoio vola via,
avvoltoio vola via.
La mia forza nucleare
farà andare sulla luna,
non deflagrerà infuocata
distruggendo le città.
Dove vola l’avvoltoio?
avvoltoio vola via,
vola via dalla terra mia,
che è la terra dell’amor.
Ma chi delle guerre quel giorno
aveva il rimpianto
in un luogo deserto a complotto
si radunò
e vide nel cielo arrivare
girando quel branco
e scendere scendere finché
qualcuno gridò:
Dove vola l’avvoltoio
avvoltoio vola via,
vola via dalla testa mia…
ma il rapace li sbranò.
Nel disco di Cantacronache cantava Pietro Buttarelli, mentre qui si riporta la più fresca interpretazione dell’amica Betti Zambruno.
Il gruppo fu fondato a Torino nel 1957 con lo scopo di valorizzare il mondo della canzone attraverso l’impegno sociale. Oltre i fondatori Sergio Liberovi e Michele L. Straniero vi si distinsero, con diversi ruoli e apporti interni, Emilio Jona, Fausto Amodei, Giorgio De Maria, Margot Galante Garrone, Mario Pogliotti. Molti letterati, tra cui appunto Calvino, ma anche Franco Fortini e Umberto Eco, collaborarono ai testi. Il loro primo disco Cantacronache sperimentale, comprendeva quattro canzoni, tra cui “Dove vola l’avvoltoio”. Lo scopo dichiarato del gruppo, come già detto , era quello di allontanarsi dal modello Sanremo che uniformava la musica leggera italiana. La loro eredità fu ripresa dalla generazione di cantautori coevi, come Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco, Francesco Guccini, ma lascerà anche una duratura impronta su quelli successivi, come Francesco De Gregori. Il loro brano più noto resta probabilmente Per i Morti di Reggio Emilia (1960, Cantacronache 6) di Fausto Amodei, ripreso tra gli altri da Giovanna Marini, dagli Stormy Six e da Milva.