Alla Fiera di Tantah. Il Sionista…
La modernità ebraica, nata all’inizio del diciassettesimo secolo, segnò la progressiva fine dell’ebraismo critico. Raffaele Ottolenghi, sionista spirituale, naturalmente avverso ai simboli e al linguaggio del potere, critico nei confronti del progetto statuale in Palestina di Theodor Herzl, comprese che l’esistenza di Israele non poteva essere disgiunta dalla compagine musulmana che da secoli intrecciava la propria cultura con quella ebraica.
Ebreo paria, Ottolenghi fu ribelle sino alla fine, anche alla vita, quando posto di fronte alla consapevolezza di appartenere a un’umanità spinta in un maelstrom di guerre e totalitarismi, quella volle togliersi.
“Un uomo un po’ curvo, dai capelli grigi era sulla soglia. Era il Maestro (Raffaele Ottolenghi), il nobile amico che ammiravo e stimavo da anni senza conoscere di lui altro che i suoi meravigliosi articoli densi di notizie e di commenti sulle vicende dell’Oriente. Egli mi tese la mano, mi dette, con semplici parole il benvenuto nella sua casa. Entrammo nella sala terrena, – lo studio, – con alti scaffali pieni di libri. Prima di invitarmi a sedere fece avvicinare il giovane moro, e ci presentò l’una all’altro, dicendo i nostri nomi. Ma, cosa non comune, aggiunse ai nostri nomi quelli della nostra fede religiosa: Taamrat, israelista, Leda, mussulmana. E, prendendo le nostre mani le unì, tra le sue, e disse, quasi commosso: Siete per me due cari amici, anzi, due collaboratori! Taamrat mi aiuta a tradurre degli antichi codici amarici, – Voi mi parlerete di certi costumi dell’Islam che solo un mussulmano può conoscere. Spero che vi amerete come fratelli”
– Leda Rafanelli
Marco Francesco Dolermo, Alla Fiera di Tantah. Il Sionista che amava l’Islam. Raffaele Ottolenghi (1860- 1917), Torino, Aldo Zamorani Editore, 2018