Il ricordo di un altro poeta: Remigio Bertolino
La scomparsa del poeta di Villa del Foro, Giovanni Rapetti, lascia un grande vuoto, ma la sua vasta opera traccia un solco luminoso nella poesia in dialetto della seconda parte del Novecento e nei primi due lustri del nuovo millennio.
Poeta, cantore popolare, ma di misura classica, era il Buttitta piemontese per le sue storie corali, per il suo impegno verso il riscatto della povera gente, degli “ultimi”.
Lo conobbi ad una delle prime edizioni della Biennale di poesia, ad Alessandria, e da allora ci sentimmo affratellati da una sorta di uguale scelta che andava verso le “patrie minuscole” , il microcosmo del proprio paese adottandone il dialetto locale.
Così, a differenza dei poeti “urbani”, eravamo privi di qualsiasi tradizione letteraria, di esempi ed influenze. Proprio per questo ci sentivamo liberi di muoverci in territori vergini, in esperienze di vita vissuta. Cercavamo, in modi analoghi, ai due lembi estremi del Piemonte, di far affiorare alla memoria i ricordi di un mondo contadino che veniva travolto e cancellato dal cosiddetto progresso.
Nel 1987 uscì a Mondovì la preziosa plaquette I pas ant l’erba per le edizioni “Ij Babi cheucc”, che avevamo creato Boetti ed io, con una intensa e rigorosa prefazione di Giovanni Tesio. La raccolta è una sorta di cantico dedicato agli uccelli in cui natura e umano si richiamano e si rispondono in echi ed armonie perdute.
Da allora l’amicizia si rafforzò. Ci incontravamo alle Biennali e ci scambiavamo libri e pareri sul far poesia. Ricordo la dolcezza del suo sguardo, dietro le lenti, il suo pacato e fermo discorrere di quelle “nevi d’antan”, di quella bellezza di un mondo perduto per sempre, di cui era l’aedo, il rapsodo… La sua musa, popolare e lirica allo stesso tempo, lo spingeva a fissare per sempre in magici ritmi la vita d’un tempo tra le sponde del Tanaro e del Belbo.
Remigio Bertolino