Guarda ‘l tramvai che passa
La tramvia astese-monferrina nella tradizione popolare del territorio
Nel corso della mia trentennale attività di ricerca sul territorio ho più volte incontrato il tema delle linee tramviarie locali (1), che è entrato a far parte del patrimonio collettivo di memoria orale, e spesso ha sollecitato l’espressività e l’immaginario delle classi popolari, finendo così con l’alimentare un significativo segmento del folklore contemporaneo (2).
Delle varie aziende tramviarie operanti sul territorio alessandrino, è proprio quella che più ci interessa, cioè la Società Astese-Monferrina, che nel suo mezzo lustro di attività (1882-1935), sembra aver lasciato un’impronta significativa nella memoria e nella tradizione orale delle popolazioni locali.
E’ interessante constatare come di questi un po’ patetici trenini a vapore, la memoria collettiva della gente monferrina abbia conservato un ricco repertorio di ricordi, tutti intessuti di episodi curiosi, di aneddoti, di frizzi ironici e irriverenti.
Non mancano nemmeno le testimonianze letterarie, le poesie dialettali e persino le canzoni: ma ciò che appare singolare è il tono quasi sempre burlesco o bonariamente satirico che pervade le testimonianze raccolte da anziani informatori popolari.
Indubbiamente, viaggiare su tali sbuffanti convogli non doveva essere molto confortevole: le carrozze tramviarie, poco molleggiate e non certo paragonabili a quelle ferroviarie, sferragliavano e sbatacchiavano un po’ rudemente i viaggiatori, spesso affumicati dal denso pennacchio nero della ciminiera. L’illuminazione veniva erogata da lampade a olio penzolanti dal soffitto e talvolta sgocciolanti sui malcapitati passeggeri. Quanto all’impianto di riscaldamento invernale, nemmeno se ne parlava sulle carrozze di seconda classe, mentre su quelle di prima era assai rudimentale, con un sistema a radiatori consistenti in grosse e lunghe taniche metalliche riempite di acqua calda prelevata nelle stazioni.
I tempi di percorrenza dovevano essere abbastanza lumacheschi, se si considera che la velocità massima non superava quella di una bicicletta, per cui, date le numerose fermate, l’andatura commerciale rimaneva costantemente al di sotto dei 20 km orari. Così, si impiegavano quasi due ore per arrivare da Alessandria a San Salvatore (15 km, con salita) e quasi tre ore da Fubine a Casale Monferrato! Di qui, tutta una colorita serie di epiteti tra l’affettuoso e l’irridente affibbiati al vetusto mezzo di locomozione: dal classico u tranvai ch’al part semp e u riva mai, a gamba de legn come a Milano, u tulon (lattone) per la forma squadrata delle locomotive a baldacchino, u rabaton(ruzzolone) sia per il suo sferragliare sia per la sua propensione al deragliamento, al fruciam(ferrovecchio) per le sue sgangherate apparenze ecc.
Così fanno ormai parte della tradizione popolare certi aneddoti quali il “biglietto con diritto alla spinta” per la linea Alessandria-Casale, in considerazione del fatto che lungo il tragitto, la salita di Castelletto Scazzoso (così sino al 1938 si chiamava l’attuale Castelletto Monferrato) con la sua erta obbligava tutti quanti i viaggiatori (vignolanti, bifolchi, commendatori, donne, vecchi e ragazzini) a scendere per aiutare lo sforzo della locomotiva, spingendo di gran lena in coda al convoglio (3).
Nel corso della prima guerra mondiale, la mancanza di carbone costringeva tali trenini a viaggiare a legna, con non poche difficoltà di approvvigionamento del combustibile, per cui poteva accadere che la scorta si esaurisse a metà percorso. Il personale di servizio non si perdeva d’animo: o si sguinzagliava per i cascinali vicini questuando un po’ di legna per la vaporiera, oppure, in aperta campagna, dava mano all’arsion e segava energicamente rami e pezzi di tronco dai gelsi che provvidenzialmente non mancavano, in lunghi filari, ai bordi della strada. Al mercato del lunedì, in piazzetta della Lega, gli alessandrini motteggiavano sulle peripezie dell’ansimante “caffettiera”: – Uà, is son fermà sü da Castlët, i son andacc a scarasè tüt is vigni da fè fo d’andè sü! (Veh, si son fermati sulla salita di Castelletto, sono andati in tutte quelle vigne a razziare pali da far fuoco per andare su!).
Anche se la velocità, come già s’è detto, era assai modesta, nell’attraversamento dei centri abitati il capostazione saliva sul predellino anteriore della locomotiva sventolando una bandierina rossa e soffiando a pieni polmoni in una rauca cornetta per chiedere il passo a pedoni, ciclisti, vetture e carri agricoli. Ma nonostante la prudenza, causa forse il non perfetto sistema di frenatura (la locomotiva soltanto aveva azione frenante, che attraverso i respingenti si ripercuoteva sulle carrozze), gli incidenti e i deragliamenti erano all’ordine del giorno, specie nei paesi di collina, e per fortuna si concludevano di solito in modo incruento, solo con un po’ di spavento e qualche ammaccatura. Un variopinto campionario di tali incidenti si trova illustrato, con ricchezza di particolari e ingenua trasfigurazione fantastica, nelle incantate tavolette votive dipinte “P.G.R.” (per grazia ricevuta) e disseminate nei santuari del Monferrato, primo fra tutti il Sacro Monte di Crea.
Uno di questi incidenti, avvenuto il giorno di Santo Stefano del 1883 a Fubine, è descritto in tutte le sue concitate fasi, con tono picaresco, nella Canzonetta nuovissima sul tramway da Alessandria a Fubine che, raccolta più volte a brani dalla memoria popolare, compare stampata su un foglio volante anonimo publicato nel 1884 dalla tipografia Jacquemod di Alessandria.
Ne riportiamo integralmente il testo, rispettando sia la grafia sia la sintassi gustosamente naïf.
Guarda l’ tramvai che passa
Cammina volentieri
Soddisfa i passigeri
L’tramvai numero tre.
Quel del numero uno
Guidato dal Tedesco
Va bene anche questo
Eguale al numero tre.
Ma quel del numero due
Furioso nel marciare
Il giorno dopo Natale
Saltava giù nei prà.
Angambi machinista
Coraggio Mazuele (4)
Per fare il tuo dovere
Tu devi estrà l’ tramvai.
El” macchinista pronto
Acceso a gran furore
Andò dal controllore
Lo slancia dal vagon.
O scegliati marmotta
Son stanco di suonare
Invece di frenare
Tu stavi li dormi.
Oh vieni ampò vedere
Dove che siamo andati
Siam tutti rovinati
Ancora l’ cantonier.
T’avverto cantoniere
Tu devi stare attento
Se vedi l’ tradimento
Il segnale devi far.
L’ dover del machinista
Vedendo un segnale
E’ quello di suonare
E fermare l’ tramvai.
Allora il controllore
Si mette in posizione
Per farsi la ragione
Ma non potè parlà.
Foghista e machinista
Si slanciano addosso
Di nuovo l’han percosso
Ti serva per lezion.
Dopo poi due ore
L’ padron viene vedere
Comèla cantoniere?
L’tramvai dova le andà.
E l’ cantoniere pronto
Al padron s’è presentato
L’ tramvai l’abbiamo estratto
Ed ora le partì.
Va bene se è partito
Ritornerà abbasso
Vi metterò al passo
Come si deve far.
Sapete il mio nome
Mi chiamano Remotti (5)
Miei cari giovinotti
Vi lascio in libertà.
Cantiam questa canzone
Ma senza alcun’ offesa
Specialmente l’impresa
Vogliamo rispettar.
A quanto pare, non pochi incidenti erano causati da distrazione del personale viaggiante (macchinisti, fuochisti, controllori) che, nelle varie soste dei paesi monferrini, libavano volentieri in onor di Bacco, mostrando di apprezzare forse un po’ troppo il frutto primario di una terra per eccellenza vitivinicola. Ma col passare degli anni, la linea mostrava di aver bisogno di drastici interventi di manutenzione, per l’invecchiamento e l’usura delle attrezzature. Nel reciproco scaricabarile delle responsabilità dei frequenti incidenti, gli alessandrini infatti commentavano, in una loro “bosinata” dialettale:
… I dan la culpa al machinista,
a l’è la strà ch’l’è pròpi frista!
(Danno la colpa al macchinista, ma è la strada – la linea – che è proprio frusta!).
La linea infatti, dotata di rotaie piuttosto sottili e sconnesse, pare che già all’alba del nuovo secolo soffrisse di senescenza e, forse a causa della cattiva manutenzione, dava adito a sempre più frequenti lamentele per il suo disservizio. Ce lo testimonia in modo colorito e preciso una nuova Canzonetta per chi deve solvegliare (sic) il Tramvai, che appare ai primi del Novecento su un altro foglio volante senza data né indicazioni tipografiche.
Nel Monferrato abbiamo un vapore
che per nome si chiama tramvia
appartiene ad una compagnia
che da tutti si fa criticar.
Tutti i giorni vi son ragliamenti (sic!)
saltando il treno dalle rotaie
il personale ne à pien le braie
i passigeri (sic) ancora di più.
Il fuochista ed il macchinista
in pericolo lor ànno la vita
nella discesa e nella salita
quando il treno comincia saltar.
Le traverse son tutte marcite
e non si pensa a farli cambiare
così si rompe ancor le rotaie
tutti a piedi dobbiamo restar…
Autore di queste composizioni è un bello spirito fubinese, il carradore e mediatore di vini Francesco Abrardo (1848-1925), singolare figura di poeta di popolo attento a registrare gli umori della gente e a farsene portavoce in “cantacronache” efficaci e pungenti, che in paese molti anziani ancora ricordano e canticchiano con gusto.
… O Comuni Provincia e Consigli
a suo tempo v’abbiam avvisati
ma quasi tutti vi siete trascurati
per solvegliare il nostro Tramvai.
Voi fate il sordo e fate l’indiano
e fingendo di nulla sapere
trascurate il vostro dovere
ma ‘l permanente si vuol conservar…
Come una vera canzone di protesta che sale dal basso, il testo in questione smaschera le responsabilità e con toni ingenui ma fermi, denuncia clientelismi e favoritismi impopolari, come l’abbonamento gratuito per le autorità, detto “permanente”.
Da tutti quanti si sente lagnanze
meno da quelli che han il libretto
pare che sia ancor per dispetto
a tacer nei fatti così […]
Gli elettori vi han nominati
per tutelare i suoi interessi
al contrario voi fate disprezzi
per favorire quel tal direttor.
Giù la maschera che ora è tempo
fate vedere la vostra energia
protestate con questa Tramvia
finché il servizio sarà regolà […].
Una conferma dell’enorme popolarità del mezzo tramviario la si può avere nelle frequenti citazioni che si rinvengono nel vasto e coloritissimo repertorio delle “bosinate” o satire carnevalesche caratteristiche delle popolazioni alessandrine (6).
Nelle businà di Castelletto Scazzoso (le più frizzanti e applaudite della zona, recitate in piazza l’ultima domenica di Carnevale) troviamo ribaditi diversi spunti di critica bonaria sulla tramvia che da Alessandria portava a Casale, transitando per il borgo dopo la famigerata salita. La bosinata del 1926 accenna, con qualche scetticismo, alle promesse fatte dal deputato fascista Edoardo Torre, di San Salvatore, alto commissario alle Ferrovie, di abolire la vecchia e malandata tramvia a vapore sostituendola con una a trazione elettrica o con una vera e propria linea ferroviaria.
Uno dei tre protagonisti tradizionali della rappresentazione di piazza (Vecchio, Giovane e Ragazza), così esordisce:
Adès che ei mond al fa prugrès
anca a Castlët ij tira après,
a j’è anca ‘d cui ch’a j’àn pensà
‘d purtaj an pò ‘d cumudità
cmensipianda dau tranvai…
Cumbat Vègg:
… sa specia semp ma u riva mai!
I divu ben da chi a queic dì,
ma cul calà ‘t lu vëgghi pì:
u tramvai eletric e la feruvia
as vëg che u diau an j’à purtà via,
cui so prugèt mal ancausà
ij san manc lur cme ch’j’àn da fa… (7)
TRADUZIONE:
” Adesso che il mondo è progredito / anche Castelletto gli va dietro, / c’è anche chi ha pensato / di portargli un po’ di comodità / cominciando dal tramvai…/ Interviene il Vecchio: – …che s’aspetta sempre e non arriva mai!/ Dicevano che era un progetto imminente / ma quello là non lo vedi più: / il tramvai elettrico e la ferrovia / si vede che il diavolo li ha portati via, / con i loro progetti male impostati / non sanno nemmeno loro come debbono fare…”.
Gli anni passarono, le promesse svanirono e così nel 1931 la bosinata di Castelletto Scazzoso traccia una divertita e divertente descrizione dell’ormai decrepito vapore, patetico relitto del passato, prossimo ad andare in pensione:
J’omma in tranvai ant ist paiz
che lüi dl’invèr l’è gran nemiz,
anmà ch’ai vëgga u temp nebià
u scapa dlong da’nt la carzà.
Se ben che ‘dès l’aba facc l’òs
ch’l’è abituà ch’ai va ant i fòs,
s’i jitu nent a tiral sì
u sta là magara quindez dì!
Ist tranvai che, a divla cme ch’a l’è,
i l’avu ant l’aica au temp ‘d Noè,
a l’era ansema a cul bestij rari,
i lu tnivu là da ezemplari,
an l’à facc teni ei Creatur
franc apòsta anmà per nui.
Finì u diluviu tant l’andava,
anlura la strà l’era nent grama,
ei material l’era ancur bon,
l’andava nent ans u stradon,
ma ‘dès chi ch’a j’àn da muntà ansimma
amzò ch’i fasu i so chint primma
e ch’as nu stagu preparà
s’a j’eisu d’armani au long la strà.
Purtei adré in cuccu o na scaudin-na
s’aurì nent amnì beja pin ‘d prin-na,
che tant ch’i lu rancu da ‘nt i fòs
av zela al j’amiulli ch’a j’ei ant j’òs!
S’a j’eisu d’aveilu ant al man nui,
ij lu domma au Cilòtu ‘d San Salvadur,
lüi an lu met an mèz ai stras,
a l’à finì ‘d fam andà mat,
acsì sareisu dlibarà,
sunei na vòta ch’a l’è ‘d Carvà! (8)
TRADUZIONE:
“Abbiamo un tramvai in questo paese / che dell’inverno è gran nemico / basta che veda il tempo annebbiato, / scappa subito dalla carreggiata; / sebbene adesso c’abbia fatto il callo, / abituato com’è ad andare nei fossi, / se non l’aiutano a tirarlo su, / sta là magari quindici giorni! / Questo tramvai che, a dirvela com’è, / l’avevano nell’arca al tempo di Noè, / era assieme a quelle bestie rare, / lo tenevano là da esemplare, / ce l’ha fatto avere il Creatore / proprio esclusivamente per noi. / Finito il diluvio, andava ancora bene, / allora la strada non era cattiva, / il materiale era ancora buono, / non finiva sullo stradone. / Ma adesso coloro che devono salirci sopra / bisogna che ci pensino bene prima / e che stiano preparati / nel caso dovessero per strada rimanere bloccati. / Portatevi dietro un braciere o uno scaldino / se non volete diventare pieni di brina, / ché mentre lo cavano dal fosso / potrebbe gelarvi il midollo delle ossa! / Se dovessimo gestircelo noi, / glielo daremmo a Cilòtu di San Salvatore [straccivendolo]: / lui lo mette in mezzo agli stracci / e avrebbe finito così di farci ammattire, / così saremmo liberati, / suonate una volta che è Carnevale!”.
Dopo tante vicissitudini, a metà degli anni ’30 i trenini a vapore del Monferrato disarmano definitivamente, sopraffatti dal progresso della motorizzazione. Proprio nel 1936, cinquant’anni dopo la loro inaugurazione, le Tramvie Astesi-Monferrine facenti capolinea ad Altavilla, venivano soppresse e sostituite da un servizio di moderne autocorriere.
Con la disattivazione di questo storico mezzo di trasporto si chiudeva così un importante capitolo nel campo delle comunicazioni nel Basso Piemonte, poiché, checché se ne dicesse scherzando e ironizzando, i tramways a vapore svolsero per mezzo secolo un onorato servizio a favore delle nostre popolazioni e delle attività commerciali di paesi e città della pianura alessandrina e della collina monferrina.
Franco Castelli
Centro di cultura popolare “G. Ferraro”
Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria
Note
1) In provincia di Alessandria, oltre alla linea in oggetto, esistevano le linee Alessandria-Marengo-Mandrogne (15 km), Alessandria-Marengo-Sale (24 km), Alessandria-Casale (32 km), gestite da una società italo-belga, la TPA o Tramvia Provinciale Alessandrina, attiva sin dal 1880. Secondo una statistica del 1888 la provincia di Alessandria (allora inglobante anche l’Astigiano) era attraversata da 222 km di tramvie a vapore, comprendenti, oltre alle linee già citate, anche la Asti-Cortanze (18 km), la Novi-Ovada (23 km), la Sale-Tortona-Valcurone (22 km) e il tratto provinciale della Casale-Vercelli (7 km).
2) A questo tema ho già dedicato, in passato, qualche attenzione nel contesto di una mostra documentaria su Fubine (F.Castelli, M.L.Ghezzi, Fubine 1880-1945. Una comunità contadina fra tradizione e innovazione, Alessandria, 1986), nonché in alcuni articoli sulla stampa locale (“Il Piccolo”, “La Provincia di Alessandria”, 1978).
3) Pare che in seguito il problema sia stato risolto con la costruzione di una rimessa in località Gerlotti: il convoglio veniva dimezzato e raggiungeva agevolmente la stazione di Castelletto, poi la locomotiva faceva ritorno alla rimessa, agganciava le altre vetture rimaste in attesa e così riprendeva la salita.
4) Mazuele era il nome di un capo-uomini del personale.
5) Remotti era il direttore dell’impresa che gestiva la tramvia. La voce popolare lo diceva figlio naturale di Vittorio Emanuele II.
6) Sul tema di queste satire rituali, si veda il mio recente I peccati in piazza. Bosinate carnevalesche in Piemonte, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria/Centro di cultura popolare “G. Ferraro”, Alessandria, 1999.
7) Businà d’ Castlet 1926, foglio volante, Alessandria, tip. Spiga (archivio F. Castelli).
8) Businà d’ Castlet 1931-IX, foglio volante, Alessandria, tip. Spiga (archivio F.Castelli).