Scheda biografica
di Franco Castelli
Nella storia degli studi demologici italiani, se si eccettua il caso eccezionale del Pitrè per la Sicilia, forse nessuno, più del demologo alessandrino Giuseppe Ferraro, ha dedicato tanto tempo e spazio a indagare la realtà tradizionale di una “piccola patria”. Lo stanno a dimostrare i risultati di più di trent’anni di un’attività di ricerca indefessa, minuziosa, a vasto raggio, sui più vari aspetti della tradizione popolare e dell’espressività tradizionale, che inizia “nella stretta cerchia della (sua) patria, Carpeneto, nell’Alto Monferrato, circondario d’Acqui, Provincia di Alessandria” (1) e che si allarga negli anni successivi, seguendo le vicende della sua carriera di uomo di scuola, in altre regioni d’Italia (Sicilia, Puglia, Calabria, Emilia Romagna, Sardegna), mantenendo però sempre il suo ideale baricentro sul prediletto natio Monferrato. Purtroppo, il fatto che i suoi scritti e manoscritti non siano stati depositati e conservati in nessun archivio, né familiare né pubblico; il fatto che l’attività di pubblicista del Ferraro si sia dispiegata in più campi disciplinari (dallo storico al linguistico al filologico al folklorico) e in regioni e località diverse, con una collaborazione a riviste e giornali non solo nazionali ma locali, rende estremamente arduo ricostruire in modo completo la mappa dei suoi scritti, nei vari campi della sua produzione (2).
Giuseppe Ferraro nasce il 24 settembre 1845 a Carpeneto, paese dell’Alto Monferrato (tra Acqui Terme e Ovada, nella porzione meridionale della provincia di Alessandria). Dopo gli studi superiori compiuti in Alessandria (3) frequenta i corsi universitari alla Regia Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha come maestri Alessandro D’Ancona e Domenico Comparetti, il cui insegnamento fu determinante per avviare il giovane Ferraro alle ricerche folkloriche. Dal D’Ancona (docente di letteratura italiana) gli venne l’attenzione storico-filologica per i “testi” popolari antichi, il gusto per l’erudizione e l’interesse per la ricerca sulle “origini” dei fatti linguistici e culturali; dal Comparetti (docente di letteratura greca) l’attenzione per la narrativa tradizionale e le suggestioni della “mitologia comparata” provenienti dalle teorie di Max Müller.
Su incitamento del Comparetti nel 1869 Ferraro conclude un cospicuo sondaggio sulla narrativa di tradizione orale, raccogliendo nel “cortile di casa” una straordinaria serie di Racconti popolari monferrini: 127 testi (conservati manoscritti presso l’archivio del Museo nazionale arti e tradizioni popolari di Roma) di cui 21 editi dal Comparetti nel 1875 e altri 47 nell’antologia di fiabe piemontesi scelte da Gian Luigi Beccaria e tradotte da Giovanni Arpino del 1982 (4).
Certamente, la parte più cospicua e forse più attraente del materiale raccolto “sul campo” dal Ferraro è costituito dai canti. Ferraro si laurea a Pisa con una tesi su canti e novelle popolari di Carpeneto nel 1870, e in quello stesso anno esce dal Loescher di Torino la prima raccolta, Canti popolari monferrini, comprendente ben 115 canti (in gran parte ballate) e 112 strambotti, riportati con fedeltà: “era mio dovere riferirli quali li ho uditi”, precisa l’autore nella prefazione. Un secondo gruppo di testi raccolti o “spigolati” – come scrive il Ferraro – “sullo stesso campo, nello stesso paese”, esce nel 1874-75 su “La Rivista Europea” di Firenze, diretta da Angelo De Gubernatis: sono 51 canti (50 monferrini e 1 ninna nanna calabrese) e 30 strambotti (5).
Nel 1888, stesso anno dell’uscita dei Canti popolari del Piemonte di Costantino Nigra, con dedica “All’illustre Conte, ambasciatore d’Italia presso l’Impero Austro-ungarico”, escono a Palermo, nella collana delle “Curiosità popolari tradizionali” del Pitrè, i Canti popolari del Basso Monferrato, comprendenti 161 testi (56 canti, 8 giochi, 18 indovinelli, 79 strambotti) provenienti dalla parte settentrionale del Monferrato, cioè dal Casalese (6).
Se vogliamo dunque limitarci alla realtà di Carpeneto, abbiamo, solo per ciò che concerne il canzoniere tradizionale, un corpus di 165 canti e 142 strambotti, per un totale di 307 testi: non poca cosa, per un paese di poche centinaia di abitanti, se si tiene presente che la stessa monumentale raccolta del Nigra (7) registra, per l’intero territorio regionale, non più di 170 testi di canzoni, 183 strambotti e 10 stornelli. Quanto nello studio dei canti nativi fossero coinvolti non solo la mente ma anche il cuore dello studioso, lo esprime bene, nella prefazione ai Canti popolari di Ferrara Cento e Pontelagoscuro, uno squarcio autobiograficamente molto significativo, dai toni quasi lirici:
“I canti monferrini mi ricordano i bei giorni della fanciullezza, il paesello natio, le primavere passate fra i colli fioriti, le poetiche notti estive, le feste della vendemmia, e tutto il cumulo degli affetti, che mal si possono esprimere allorché si parla della patria” (8).
Ma l’attività di ricercatore o “spigolatore” (come con somma modestia si definisce) del Ferraro non s’arresta qui. Accanto ai prediletti scavi demologici, il Ferraro lavora anche per ricostruire i lineamenti della storia secolare del suo borgo, ed ecco, nel 1873, sulla “Rivista Europea”, il saggio Antichi Statuti del Comune di Carpeneto (firmato “Napoli, 1872”), seguito nell’anno successivo, dall’edizione critica Statuti e ordinazioni del Comune di Carpeneto, e ancora, nel 1896, Due documenti aggiunti alla storia diplomatica di Carpeneto d’Acqui.
Sul versante demologico o, come si diceva allora, “demopsicologico”, il rapporto col grande Pitrè, dapprima filiale, poi di salda amicizia (9), ebbe un’enorme influenza, come stimolo a superare i limiti della “poesia popolare” e ad ampliare l’orizzonte della ricerca, oltre che sui testi (cantati o narrati), sulle usanze, sulle superstizioni, sulle credenze, sui proverbi, sulla ritualità. Se ne ha un segno palpabile nella collaborazione, sin dalla sua fondazione, all'”Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, diretto da Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino, in un arco assai lungo, che va dal 1882 al 1904. Su questa importante rivista che, come scrive il Cirese, cronologicamente costituisce in Europa (dopo Mélusine e Folk-lore Record, iniziati nel 1877-79) la terza grande iniziativa nel campo delle riviste demologiche” (10), si verranno via via pubblicando ben 37 contributi (alcuni dei quali in più puntate) del nostro, dai Cinquanta giochi fanciulleschi monferrini alla Botanica popolare, dalla Nuova raccolta di proverbi o detti popolari monferrini alle Tradizioni demopsicologiche monferrine (laiche e religiose), dalle Spigolature popolari monferrine alle Benedizioni e maledizioni alle Imprecazioni giuramenti saluti, dal Folklore dell’agricoltura al Culto degli alberi, dal Carro nelle tradizioni popolari alla Casa nel folklore, dalle Formule dei mendicantiagli “Assempri” in dialetto monferrino al Toccaferro ecc. (11).
Ma non si deve dimenticare anche l’interesse linguistico del Ferraro, influenzato dalle teorie dell’Ascoli e spinto a ricercare, nello stesso dialetto del suo paese, quelle “medaglie linguistiche” in grado di fare luce, come i fossili per i paleontologi, sugli strati più remoti della lingua e in particolare sull’idioma di quei Liguri celti che abitarono la valle del Po in età preromana. Così nel 1881 esce a Ferrara, la prima edizione del Glossario monferrino (in sole 66 pagine) che otto anni dopo in edizione accresciuta (130 pagine) viene edito da Loescher di Torino. Le 2367 voci di questo glossario (12) riescono a darci di per sé un efficace ritratto della realtà quotidiana del mondo paesano, registrando le parole d’uso comune, le interiezioni, i modi di dire, i proverbi, i nomi di oggetti, attrezzi, lavori, usanze ecc.
Come filologo, va ricordata la sua collaborazione alla collana del Romagnoli di Bologna, “Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVIII”, oltre a vari contributi alla “Rivista di filologia romanza” diretta da Ernesto Monaci.
Uomo di scuola, il Ferraro inizia la sua carriera nel 1871 come professore di ginnasio in Sicilia, a Mazzara del Vallo (Trapani), l’anno seguente è trasferito nelle Puglie, a Lucera (Foggia), nel 1873 è a Monteleone Calabro, l’anno successivo è insegnante di liceo a Ferrara, ove lavora una decina d’anni; promosso preside nel 1885, è inviato a Parma dove soggiorna tre anni; nominato provveditore agli studi, nel 1888 è inviato in Sardegna, a Sassari, ma l’anno seguente sarà trasferito ancora una volta in Emilia, provveditore per dodici anni a Reggio Emilia; solo nel novembre 1901 potrà tornare nel suo Piemonte, a Cuneo per cinque anni come provveditore e ispettore regionale, sino alla tappa finale di Massa Carrara, dal febbraio 1907 alla morte pochi mesi dopo.
Come uomo di scuola, è senz’altro da segnalare quanto Ferraro (benché nei suoi scritti non si soffermi su questo aspetto), metta a frutto la metodologia dell’inchiesta folklorica nelle varie sedi in cui si troverà ad operare, coinvolgendo gli insegnanti nella raccolta dei materiali popolari (soprattutto in Sardegna): la varia esperienza di tradizioni regionali etnograficamente, linguisticamente, dialettalmente diverse, dal nord al sud della penisola, gli consente di superare le angustie del “ricercatore locale” ancorato al suo luogo natio (di cui fa propria l’ottica municipale) e lo porta ad abbozzare una metodologia della comparazione interregionale (almeno per Monferrato, Emilia Romagna e Sardegna, le tre realtà che indagò più a fondo) di notevole interesse e – per il suo tempo – decisamente nuova.
In quest’ottica, non gli manca un tratto di matrice romantica e risorgimentale, mutuato dall’insegnamento danconiano, che rispondendo al bisogno di nazionalizzare le culture regionali, gli fa considerare la ricerca demologica come contributo all’opera di unificazione culturale della nazione, a quel “fare gli italiani” che gli appare (a lui, politicamente pessimista) ancora abbastanza lontano.
Tacendo dell’aiuto che da queste raccolte verrà agli studi filologici, storici e letterarii: i paragoni, i ravvicinamenti, di tradizioni, di canti, di usi, ci conducono a questa scoperta: eravamo fratelli, uniti perfino nelle minute particolarità della vita, e siamo stati per tanto tempo ignoti e quel che è peggio, nemici gli uni degl’altri! Vediamo ora dunque finalmente d’intenderci (13).
Nonostante la vita errabonda condotta, il Ferraro mantiene col paese natio un rapporto saldo e costante, e non può fare a meno di tornare ogni anno, nelle vacanze estive, ai suoi colli. Il ritorno al paese significa per lui tornare ad abbeverarsi alle fonti della cultura tradizionale, ed è perciò che si intrattiene volentieri a parlare in dialetto con gli anziani contadini, provocando le rimostranze della moglie (Amalia Boselli) che vorrebbe migliori frequentazioni nella società del paese. Come traspare dalle lettere al Pitrè, se la carriera di uomo di scuola dell’Italia umbertina lo porta su e giù per la penisola, il suo cuore resta tenacemente ancorato al paesello:
“Le scrivo questa lettera dalla sala degli esami di licenza ginnasiale alla quale assisto col corpo, mentre la mente ritorna alle colline del Monferrato…” (4 agosto 1873, probabilmente da Monteleone Calabro).
“…me ne andrò fino ai 15 Ottobre a respirare l’aria natia a Carpeneto circondario d’Acqui provincia di Alessandria” (da Ferrara, 1 agosto 1874).
“…Quanto all’augurio che mi fai, ben vorrei che si verificasse e potessi andare vicino al mio paese dove conto di morire come vi sono nato. Ormai non ho più altro ideale.” (da Sassari, 16 febbraio 1889).
Sappiamo che questo desiderio non si potè avverare, infatti il Ferraro morì a soli sessantadue anni il 19 giugno 1907 a Massa Carrara, dove era stato trasferito da pochi mesi, in qualità di ispettore scolastico, e inspiegabilmente non a Carpeneto verrà sepolto, ma a Massa, nel cimitero di Mirteto.
Ci piace chiudere questo contributo con una citazione tratta dalla premessa al saggio sulla Botanica popolare, che sottolinea non solo il metodo usato dal Ferraro nei suoi lavori, ma, ancora una volta, la sua modestia, il suo disinteresse, la sua enorme capacità di lavoro sostenuta solo dalla passione per l’oggetto della ricerca e dall’affetto inesausto per la sua terra.
“Per ciò che riguarda l’Alto Monferrato, ecco pertanto gli appunti di Botanica popolare che io ho raccolto, confrontando quello che è presente col passato, quello che si crede ora, con quello che si credeva. Ho fatto la raccolta sempre stando nella mia patria, sentendo da me, ricordando ciò che mi dicevano, mio padre, i vecchi e le vecchie da me conosciuti, i miei compagni d’infanzia, i miei compaesani, osservando e notando sempre. Facciano gli altri per la loro patria ciò che io mi ingegno di fare per la mia patria e la mia regione, e non lascino che gli stranieri ci raccolgano anche le nostre tradizioni. Certamente che questo non è lavoro facile, lieto e proficuo. No, no; io non ho mai guadagnato un millesimo dalle fatiche sostenute per attendere a raccogliere documenti e canti, e novelle, e proverbi monferrini. E che cosa importa? Quando si ama, dice un proverbio nostro, non si pesa; e a me non peserà mai di lavorare pel mio paese” (14).
NOTE
1) Prefazione a G. Ferraro, Canti popolari monferrini, Torino, Loescher, 1870; p. 51 di G. Ferraro, Canti popolari piemontesi ed emiliani, a cura di R. Leydi e F. Castelli, Milano, Rizzoli, 1977: d’ora in avanti citato come Ferraro 1977).
2) I settori in cui si esplica l’attività pubblicistica del Ferraro sono, oltre alla demologia, la dialettologia, la filologia romanza, la storia e la geografia. Oltre all’”Archivio per lo studio delle tradizioni popolari” di Palermo (d’ora in avanti indicato con l’abbreviazione ATP), segnaliamo contributi del Ferraro (articoli o saggi) su: “Eco degli Studenti” di Alessandria (1865); “La Rivista Europea” di Firenze (1872-75); “Rivista di Filologia romanza” di Roma (1875); “Rivista di Letteratura popolare” di Roma (1877-79); “Il Propugnatore” di Bologna (1886); “La Sinistra” di Reggio Emilia (1890); “Reggio gentile” di Reggio Emilia (1890-91); “Flora Letteraria” di Torino (1892); “Il Pensiero” di Reggio Emilia (1892); “Giornale Ligustico” di Genova (1892-93); “L’Unione dei maestri” di Torino (1893); “La Rivista d’Italia” di Roma (1905). E l’elenco non è certo completo.
3) Sul giornaletto “Eco degli Studenti” di Alessandria, compare nel 1865 un articolo con traduzione italiana del canto epico-lirico La sposa morta (probabilmente frutto di sue ricerche), che ci risulta essere il primo scritto demologico del Ferraro.
4) D.Comparetti, Novelline popolari italiane, Torino, Loescher, 1875; Fiabe piemontesi scelte da G.L. Beccaria e tradotte da G. Arpino, Milano, Mondadori Oscar, 1982.
5) Nuova raccolta di canti popolari monferrini, “La Rivista Europea”, V-VI (1874); ripubblicata in Ferraro 1977, alle pp. 187-232.
6) Canti popolari del Basso Monferrato, raccolti ed annotati da Giuseppe Ferraro, Palermo, Pedone Lauriel, 1888; ripubblicato in Ferraro 1977, alle pp. 345-420.
7) C. Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino, Loescher, 1888.
8) Prefazione ai Canti popolari di Ferrara Cento e Pontelagoscuro, Ferrara, Taddei, 1877; Ferraro 1977, p. 236.
9) Documentato nel vasto carteggio conservato nella Biblioteca del Museo etnografico “G. Pitrè” di Palermo: si tratta di ben 171 lettere del Ferraro al folklorista siciliano, che coprono un arco di 34 anni, dal 1873 al 1907. Si veda in proposito la tesi di laurea di Francesca La Grutta, Epistolario Ferraro-Pitrè, Università degli studi di Palermo, Facoltà di Magistero, anno accademico 1968-69 (rel. Giuseppe Bonomo).
10) A.M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo, Palumbo, 1973, p. 172.
11) Si veda la bibliografia ricostruita in Ferraro 1977, alle pp. 23-30, e qui ripresa e completata.
12) Glossario monferrino compilato da Giuseppe Ferraro, Ferrara, tip. Sociale, 1881; 2^ ediz. Torino, Loescher, 1889.
13) Prefazione a Ferraro 1874; Ferraro 1977, p. 189.
14) Botanica popolare, ATP, III (1884), p. 604.