Fascismo e dissidentismo in provincia di Alessandria
Tra il 1919 e il 1925 la nascita e l’affermazione del fascismo in provincia di Alessandria si accompagna ad un caso di dissidentismo di particolare rilevanza che, alle elezioni politiche del 1924, sfocerà nella presentazione dell’unica lista fascista dissidente d’Italia.
Nel contrasto che oppone Raimondo Sala, sindaco di Alessandria, a Edoardo Torre, Alto Commissario delle ferrovie, confluiscono varie motivazioni. Così, alla cronaca degli incidenti e delle rivalità individuali, si sovrappone un’altra vicenda di cui sono attori i soggetti sociali collettivi: la grande proprietà agraria, centro propulsore del fascismo fin dalle sue origini, la piccola proprietà viticola, la cui estraneità al fascismo offre un interessante spunto di riflessione sul ruolo dei ceti medi, contadini e urbani, negli anni della conquista fascista del potere.
Al di là degli aspetti più scandalistici del dissidentismo, è proprio la media borghesia, nella sua frammentazione sociale e politica, ad imporsi come protagonista sconfitta dello scontro in atto. Base di manovra, non forza trainante del fascismo, essa conferma la sua subalternità nei confronti di agrari e industriali.
Dopo il delitto Matteotti, il dissidentismo, con i suoi fallimentari sforzi di trasformarsi in opposizione al fascismo, è l’espressione di ceti borghesi ristretti che, pur disapprovando gli aspetti più violenti del regime, individuano nel movimento operaio l’unico nemico da battere, cosicché la discriminante di classe ha il sopravvento sulla discriminante ideologia fascista
Nella convinzione che, nonostante l’illegalità, il fascismo rappresenti, nel momento specifico, lo strumento più idoneo a neutralizzare l’avanzata delle classi popolari, si colgono in provincia le radici di quell’antifascismo spurio dei ceti medi fiancheggiatori, riemerso con la Resistenza, che Guido Quazza ha definito “antifascismo dei fascisti”.
Lorenza Lorenzini, Fascismo e dissidentismo in provincia di Alessandria, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1980, pp. 226, L. 5.000