Sentiero n. 1 – I Sentieri delle Salme
Da Mornese alla diga superiore della Lavagnina, alla diga inferiore, alla Benedicta con bretelle per Capanne di Marcarolo – cascina Foi e cascina il Palazzo e con possibilità di interessanti digressioni: la valle del Roverno, il sentiero degli Eremiti ad esempio. Percorribile anche a tratti e integrabile con interessanti digressioni, costituisce il tracciato di base per la conoscenza della zona.
Sentiero per buona parte indicato con segnavia e sulle cartine.
Percorrenza totale sulle 5- 6 ore – di tipo turistico escursionistico (un po’ sconnesso in alcuni tratti). Percorribile anche in mountain – bike.
Per la gran parte percorso seguito dai parenti per le visite, nel recupero delle salme e nel primo dopoguerra per l’accesso alla Benedica. I sentieri costituivano anche via di comunicazione con cascine, i paesi limitrofi e i due riferimenti amministrativi della Benedica e di Capanne.
Sul suo percorso si incontrano luoghi legati sia alla Resistenza che alle antiche attività economiche della zona, con l’attività mineraria in particolare; la zona del Roverno, il lago della Lavagnina coi suoi dintorni, la varie Cascine: Ferrere, Lombarda, Nebbia Cornaggia, Cornagietta, il sottostante Rio Moncalero, “il Palazzo”, i Foi, la cascina Maglioni e la cascina Merigo esempio di insediamento agricolo ancora in attività.
La Valle del Roverno
La valle del Roverno è un profondo vallone inciso dal torrente omonimo che divide le pendici settentrionali del Tobbio dal monte Lanzone separando i terreni sedimentari del bacino terziario piemontese dai gruppi mafici del Tobbio. Più ampia ed accessibile a monte, la valle diventa più incassata al suo sbocco nel Gorzente. Essa, come tutta la zona, era caratterizzata da alcuni cascinali sparsi, posti su ripiani coltivabili sufficienti per una economia familiare di sussistenza e rivolta allo sfruttamento del bosco.
Oggi la valle è completamente abbandonata, ma mantiene una sua bellezza dovuta proprio al suo isolamento ed anche al fascino di alcune rovine, tra le quali quella del vecchio mulino che conserva ancora la ruota, gli ingranaggi e le macine.
Piuttosto defilata, la valle è stata a più riprese legata alle vicende del gruppo di partigiani formatosi attorno a Giuseppe Merlo e che, con alterne vicende e legami, ruotò sempre attorno a lui. Il gruppo inizialmente comprendeva 8 prigionieri russi, 1 jugoslavo, Tommaso Merlo di Voltaggio e Giuseppe Merlo di Bosio, sottotenente degli alpini. Si formò già nella prima metà di settembre stanziandosi sul monte Porale e si denominò “Banda di Voltaggio”.
Dopo non facili vicende organizzative con terribili giornate di freddo passate nei pressi del Tobbio e le prime azioni ( l’uccisione di un tedesco ad Alice e la liberazione di alcuni prigionieri dal forte di Gavi), il gruppo, rafforzatosi sulle trenta unità e passato sotto il comando del capitano Odino, assunse la denominazione di “Brigata Alessandria” e si portò verso la fine del febbraio1944 nella valle del Roverno.
Il comando venne posto alla cascina Roverno e gli uomini, che ai primi di marzo erano già aumentati raggiungendo l’ottantina, si sistemarono nelle altre cascine della zona.
La banda, pur in crisi per la rapida crescita (all’inizio di aprile essa contava circa 200 uomini, ma pochi erano armati) riuscì a compiere alcune azioni, modeste, ma significative di una presenza che cominciava a farsi sentire.
All’inizio del rastrellamento il grosso, al comando di Odino, abbandonò la valle e si diresse verso la Benedicta. Un trentina di uomini con Merlo e Repetto restò di retroguardia e si attestò sulla cresta tra il Roverno e il Tobbio.
Sotto la pressione dei tedeschi il gruppo si frazionò. Una parte si riunì al gruppo principale e i suoi componenti furono catturati e coinvolti nelle vicende della Benedicta. Un piccolo gruppo con Merlo riuscì a sganciarsi verso la Carosina e da qui verso Molini di Voltaggio e la salvezza. Già verso la fine di maggio Merlo ritornò in zona e riorganizzò la sua banda, ora chiamata “Martiri della Benedicta”, e ritornò a compiere azioni nella zona di Bosio, Mornese, Gavi, Voltaggio. Tra l’altro venne ancora assalito il forte di Gavi con la liberazione di prigionieri.
La zona della Lavagnina
La zona dei laghi della Lavagnina deve il suo paesaggio attuale alla costruzione delle due dighe che, sbarrando il Gorzente, formano il complesso lacustre.
La diga superiore costruita nel 1887 come bacino di compensazione di capacità limitata, rapidamente colmatosi di detriti, forma oggi un piccolo specchio d’acqua che sostiene una interessante zona palustre.
La diga inferiore, la cui costruzione iniziò nel 1912 e terminò nel 1917, forma invece un bacino dalla capacità complessiva di 3 milioni di metri cubi e alimenta, assieme ad una condotta derivata dal Piota, una piccola centrale elettrica posta 1 chilometro a valle. La sua costruzione causò la sommersione della cascina Lavagnina, che dette il nome al lago, e dello stabilimento metallurgico costruito nel 1850 per il trattamento del minerale aurifero. I resti delle due costruzioni affiorano nei periodi di secca o di svuotamento del lago per manutenzione.
Al di là della diga superiore si trovano i resti di alcune costruzioni legate all’attività mineraria. Tra esse il cosiddetto Palazzo Roberto, edificato attorno al 1870. Da qui partiva anche un sentiero, ora poco battuto, che collegava direttamente con la cresta verso la Benedicta e una delle zone minerarie.
L’ambiente che circonda i laghi è uno dei più belli ed interessanti del parco, sia per la flora, sia per gli aspetti naturalistici, per i minerali e per le miniere. In particolare nelle zone erose si possono cogliere stupende sezioni quasi a rappresentare un piccolo laboratorio di geologia.
Un tempo la zona era abitata da cascinali sparsi, oggi abbandonati, e solo alcuni sono ancora in buono stato. In essi si formarono i primi nuclei partigiani di quella che divenne poi la III brigata Liguria. Dei vari gruppi saliti in montagna già da settembre, un gruppetto si instaurò alla cascina Brignoleto, poco a monte della diga superiore. Verso la fine di novembre il gruppo, legato al genovesato e al partito comunista, assommava ad una decina di unità.
Agli inizi di gennaio gli effettivi, saliti ad una quarantina, vennero raggruppati sotto il comando di Edmondo Tosi e si formò cosi la brigata che il 13 gennaio compì la prima azione, l’attacco al presidio di monte Lanzone. Il comando ebbe sede alla Cascina Brignoleto e gli uomini si sistemarono nella cascine vicine.
All’epoca del rastrellamento il comando della brigata si era spostato a Capanne e in zona era rimasto un distaccamento di una ventina di uomini con sede alla cascina Tugello, un po’ più a monte. Il gruppo, abbastanza organizzato, dopo aver opposto resistenza, riuscì a sganciarsi.
Al rastrellamento della Pasqua ’44 seguì un periodo di riorganizzazione e la presenza partigiana nella zona della Lavagnina divenne discontinua. Solo nell’autunno si tornò ad una presenza più stabile cui seguì nel novembre un rastrellamento che causò perdite e l’incendio della casa del custode. Un partigiano prigioniero si salvò gettandosi dalla casa sulle rocce verso la diga.
La zona delle Ferriere
La zona delle Ferriere comprende le cascine Ferriere inferiori, di mezzo e superiori e la cascina Albergo, abitate o utilizzate ancora negli anni ’60. (L’ultimo vero cercatore d’oro, Bartolomeo Ferrando, abitava negli anni sessanta alle Cascina Ferriere superiori). Oggi sono in buona parte diroccate. Solo la cascina Ferriere di mezzo è stata riadattata a seguito dei lavori di prospezione mineraria degli anni ’80 e temporaneamente riabitata.
La zona è una delle più interessanti dal punto di vista mineralogico e geologico. E’ interessata dagli attraversamenti di alcuni dei principali filoni auriferi, da alcune gallerie minerarie e nella sua parte centrale vi è ben evidente un lembo di rocce dolomitico-calcaree originate da un’ antica piattaforma continentale sovrascorsa alle rocce ignee che caratterizzano il gruppo.
Le cascine sono poste su di una costa che sovrasta il corso dei rii Moncalero e di cascina Lombardo. I due torrenti incidono profondamente il paesaggio mettendo allo scoperto sezioni geologiche belle ed interessanti e creano paesaggi stupendi. La zona è poi caratterizzata da boschi e da radure, residuo degli antichi coltivi, ed è meta di escursionisti, di cercatori di funghi e raccoglitori di castagne. Al di sotto della cascina di mezzo, nel contatto tra le rocce calcaree e quelle mafiche, vi è una zona di sorgenti e una presa dell’ acquedotto di Casaleggio.
La denominazione stessa di Ferriere fa riferimento alle antiche attività della zona legate alla fabbricazione di grossi chiodi per navi ed attrezzi agricoli.
Come molte cascine della zona esse furono anche rifugio partigiano e, interessate da una delle linee di attacco tedesche, vennero bruciate a seguito del rastrellamento della Pasqua. Nel novembre 1944 il territorio venne di nuovo occupato da un brigata della Mingo che vi si rifugiò per sfuggire ad un rastrellamento nella zona dell’Orba.
Il comando venne posto nella casa del custode della Lavagnina e una squadra si installò alle Ferriere ove a seguito di un nuovo rastrellamento si ebbe uno scontro che causò tre morti da parte partigiana e due da parte tedesca. Le cascine vennero ancora incendiate e la squadra sbandò.
Il Palazzo
Il Palazzo era un edificio costruito attorno al 1870 sulla sponda destra del Piota in prossimità della confluenza del Rio Tana, per essere adibito, sfruttando le acque, al trattamento del minerale aurifero della zona ed in particolare di quello delle miniere del rio Tana.
Di esso si ricorda l’installazione, nel quadro di un suo ampliamento agli inizi del novecento, di un grande volano di ghisa del ragguardevole diametro di 4 metri, oggetto di curiosità ed ammirazione da parte degli abitanti della zona e per il trasporto del quale si fu costretti ad ampliare, nel 1908, la mulattiera che dal ponte di Lerma, zona Cirimilla, porta all’edificio. I macchinari dell’edificio, compresa la grande ruota, vennero asportati durante la prima guerra mondiale, con il che cessò l’attività dell’officina.
Bruciato a seguito del rastrellamento della Benedicta ed abbandonato, l’edificio andò a poco a poco in rovina. Di recente esso è stato ristrutturato come casa di abitazione.
Il Palazzo fu già dagli inizi sede di nuclei di partigiani che si andavano raggruppando attorno a Martini e a “Boro”, Gregorio Cupic. Al momento del rastrellamento vi era attestato un distaccamento di ottanta uomini che, pur opponendo una certa resistenza, si sbandò. Un partigiano ferito vi venne ricoverato. Esso fu scoperto dai tedeschi, venne seviziato e lasciato morente, ma vivo, all’interno della costruzione che venne incendiata. Bruciò con essa.
Già alla fine di maggio al Palazzo tornò ad insediarsi un gruppo di 7 uomini, tra cui “Boro” che erano sopravvissuti all’eccidio vagando tra i monti. A giugno un gruppo di quaranta uomini fonda la “Buranello”, che poi si dividerà in squadre ed una di esse resta al Palazzo.
Il 12 settembre, sempre al Palazzo, raggruppando vari gruppi che operavano nella zona, venne fondata la divisione Doria, che poi divenne la “Mingo”. Il comando ebbe sede al Palazzo, ma fu poi costretto a cambiare zona.
Ecco come Don Berto descrive il suo arrivo in banda proprio al Palazzo:
“ ..Poco distante vi era un’altra costruzione. Da ciò che era rimasto in piedi dopo l’incendio da parte dei tedeschi si poteva vedere che era qualche cosa di più di una semplice casa colonica. Difatti la località era chiamata “Palazzo” e non ne rimanevano in piedi che i muri perimetrali, il tetto era formato con rami secchi. … Nella prima stanza un partigiano alimentava il fuoco su cui bolliva una grande marmitta. Più oltre una stanza…in questa stanza, durante il rastrellamento della Pasqua precedente, si trovava in letto un partigiano ferito. Saputo che era un partigiano, un soldato tedesco gli aveva sparato due colpi di pistola negli occhi. Poi aveva dato fuoco alla casa bruciando dentro il partigiano ancora agonizzante”.