L’Antisemitismo – una sintesi

di  Antonella Ferraris

Le origini del fenomeno: dall’antigiudaismo all’antisemitismo

Alla fine del 1894, l’ufficiale francese Alfred Dreyfus, ebreo, fu accusato di spionaggio a favore della Germania, sbrigativamente processato davanti a una corte marziale militare e, nonostante gli indizi a suo carico non sembrassero conclusivi, condannato alla degradazione e alla prigionia perpetua sull’Isola del Diavolo.

Due anni più tardi, mentre il fratello di Dreyfus indagava per suo conto, il nuovo capo del Servizio Informazioni, colonnello Picquart, riaprì il caso essendosi convinto dell’innocenza di Dreyfus e accusò un altro ufficiale, il colonnello Esterhazy, di nobile famiglia, ma giocatore e bon vivant. Picquart dopo poco fu promosso e trasferito e Dreyfus restò in prigione.

È a questo punto che secondo lo storico Léon Poliakov inizia il vero Affare Dreyfus, con la pubblicazione, su L’Aurore, il giornale dell’uomo politico radicale Georges Clemenceau, di una lettera aperta dello scrittore Emile Zola intitolata “J’accuse”.

Alla fine del 1897 la Francia offrì al mondo l’immagine di un paese sull’orlo della guerra civile, dove i sostenitori di Dreyfus, pochissimi dalla prima ora, e la maggioranza dell’opinione pubblica antidreifusarda si combattevano sui giornali e spesso anche nelle strade Dreyfus fu riconosciuto innocente nel 1907 e graziato e a molti questo parve un compromesso politico. Le reiterate condanne subite da Dreyfus anche quando i colpevoli e i mandanti dell’azione di spionaggio erano stati chiaramente individuati e la successiva concessione della grazia servirono ad evitare un colpo di stato da parte della Francia militarista e nazionalista.

Il caso Dreyfus, con cui inizia questa scheda, è un evento importante storicamente e simbolicamente rispetto all’emersione di un fenomeno esistente da secoli, ma che alla fine dell’Ottocento veniva ad assumere connotati nuovi: l’antisemitismo. L’antisemitismo si differenzia dalla tradizionale ostilità nei confronti degli ebrei sostenuta dal Cristianesimo per motivi religiosi (antigiudaismo) e nata nella tarda antichità nel momento in cui il cristianesimo si distacca dalla cultura ebraica che lo ha generato. Tale atteggiamento, che si concretizza immediatamente nella presentazione degli ebrei come il popolo deicida, viene mantenuto e perpetuato sia nel mondo cattolico, sia in quello protestante, sia, almeno parzialmente, in quello ortodosso.

Crisi di fine secolo e nazionalizzazione delle masse

Negli ultimi anni dell’Ottocento le certezze legate al progresso economico e tecnologico si affievoliscono considerevolmente. Gli anni a cavallo del secolo nuovo ci presentano una crisi sia economica, sia politica. I rapporti tra Francia e Germania, già guastati dalla guerra del 1870, peggiorano ulteriormente dopo l’affaire Dreyfus. La Germania, tenendo una politica di basso profilo, ha buon gioco nel demonizzare l’avversario qualificando come “barbaro” il comportamento dell’opinione pubblica francese.

Ma le masse tedesche non sono molto diverse e, se in Germania manca un equivalente dell’Affaire Dreyfus, buona parte dell’opinione pubblica e lo stesso Guglielmo II plaudono alle misure restrittive messe in atto in Russia e persino ai pogrom antiebraici. In tutti i paesi europei, anche per la presenza di vasti imperi coloniali in Francia e Gran Bretagna, l’esercito diventa il baluardo contro la mutevolezza dei rapporti sociali e al tempo stesso e proprio per questo un premio molto ambito per gli ebrei come simbolo della loro emancipazione e integrazione (il “sangue versato”).

L’esercito è l’ultimo bastione dell’aristocrazia, è legato alla tradizione (antirepubblicana in Francia, antiparlamentare in Germania e in Italia, imperiale in Austria- Ungheria), generalmente clericale, ancora molto influente per chi vuole fare carriera, con uno spirito di corpo fortissimo al suo interno e una quasi totale seclusione dalla vita civile, cui non è sottoposto. Non viene per ciò stesso democratizzato. Ciò fa nascere diffidenze reciproche, che sono molto evidenti nell’affaire Dreyfus, che è anche un caso aperto tra giurisdizione civile e militare, risolto alla fine dal compromesso cui si è accennato.

Sebbene non sempre in così aperto conflitto, esercito e burocrazia dello stato si mantengono separati e si controllano. L’esercito spesso si presenta come elemento di ordine ed efficienza in senso antiparlamentare, specie dove questo tipo di regime mostra segni di debolezza: in Italia alla vigilia della prima Guerra Mondiale, in Germania nel primo dopoguerra, durante la Repubblica di Weimar. Non a caso le costituzioni più recenti in Europa mettono l’esercito sotto il controllo democratico, come accade nella Costituzione italiana, che però al suo apparire lasciava sopravvivere la pena di morte, altrimenti abolita, nell’ambito dei tribunali militari.

Tutti questi elementi, sovente contraddittori, costituiscono lo sfondo entro cui viene individuato negli ebrei un ideale capro espiatorio. L’opinione pubblica, in Francia ma non solo, risponde, istigata dalla stampa, che è il mezzo ideale per diffondere idee, polemiche, anche menzogne. Il processo Dreyfus è un affare perfetto, per la stampa, tanto che proprio su di essa inizia il vero Affaire. Ci sono arringhe, lettere aperte, polemiche assimilate avidamente dai lettori, che si identificano con uno dei due schieramenti e anche con un giornale piuttosto che un altro: “L’Aurore” di Clemenceau , o “La Libre parole” di Edouard Drumont, già autore de La France Juive (La Francia Ebraica), antidreyfusardo, in nome della tradizione, di quella Francia della religione , delle crociate, di Luigi XIV, libera dall’influenza dei laici, degli ebrei, dei repubblicani. La Chiesa, quasi ovunque, ma in Francia più che altrove, perde posizioni di potere e di influenza nella società, ma questo non elimina le tensioni sociali, anzi le esaspera. L’antisemitismo, ovunque, diventa un fattore interclassista.

Le masse sono in primo piano. Sono il frutto della sovranità popolare, del suffragio universale (maschile), ma il loro comportamento dimostra che sono facilmente influenzabili e che il loro comportamento collettivo è sovente irrazionale anche nelle scelte elettorali. Il popolo “privato della sua maestà” (sono parole di Clemenceau) è facilmente sobillato dalla chiesa o dalla propaganda razzista ad aggredire uomini politici e cittadini ebrei, assalire attività ebraiche, in una anticipazione dei pogrom russi e poi nazisti.

Si tratta di un periodo di crisi e non si può non notare come, dalla fine dell’Ottocento in poi, si sia avuto un ritorno dell’antisemitismo in forme più o meno esplicito nei momenti di maggiore crisi economica, politica e culturale. A questi elementi si deve aggiungere un elemento di crisi di tipo filosofico: la crisi (per alcuni definitiva) del sistema di valori creato dall’illuminismo. Nell’ottocento l’uomo è ancora convinto di vivere nella luce della ragione e non nelle tenebre. A fine secolo, accanto alle esposizioni universali che dipingono a tinte rosee il futuro dell’uomo, si diffonde una cultura che è stata definita “del sospetto” da Gianni Vattimo, che coglie nella filosofia di Nietzsche il punto di rottura con una tradizione che ha fatto dell’uomo e delle sue possibilità una religione. Ma se l’uomo non ha più bisogno di dio, se Dio è morto – la nuova aurora di cui parla Nietzsche- che cosa è l’uomo?

È su questa definizione che si gioca la partita, e il tragico travisamento di cui la filosofia di Nietzsche è stata vittima ne è la dimostrazione. Chi non rientra entro una precisa definizione di “umano” è una cosa, un non-essere, un non-esistente. Lo stesso progresso diventa un mito distruttore, fine a se stesso, che serve a giustificare razze, religioni, arte, eugenetica, con l’effetto di distruggere ogni memoria, ogni senso, ogni valore, ogni morale.
E dopo il 1945 il progresso, dopo aver condotto l’umanità sull’orlo dell’autoannientamento, si trasforma nella felicità immediata che rifiuta ogni domanda, anche su questioni essenziali come la vita, la sofferenza e la morte, lasciando l’uomo completamente disarmato di fronte alla vita.

L’antisemitismo tedesco: una specificità?

Lo sviluppo della Shoah in Germania ha generato un dibattito storiografico volto a comprendere se l’antisemitismo hitleriano fosse una assoluta novità o fondasse le sue radici in un humus culturale precedente. La parola antisemitismo (Antisemitismus) viene coniata da Wilhelm Marr, un ex socialista convertito ai valori germanici, nel libro Semite Jude, esempio eminente di una campagna di diffamazione contro gli ebrei molto virulenta negli anni ’70 e ’80 e collegata ad una situazione economica e sociale difficile (la nazionalizzazione delle ferrovie). Il bacino di raccolta di questa campagna, che utilizza il lessico antigiudaico già proprio del mondo cristiano, è quello dei contadini e piccoli proprietari, che votano per lo più il partito Cristiano Sociale e al tempo stesso sono vicini all’Antisemiten Liga. Molti sono cattolici, a loro volta discriminati in alcuni Land. Ritengono che l’unità tedesca abbia beneficiato molto di più gli ebrei di quanto abbia portato significative modifiche alla loro vita. Si tratta di un antisemitismo per lo più culturale, però costituisce quello che lo storico israeliano Shulamit Volkov ha definito un “codice culturale”.

Nei fatti, qualunque ebreo che occupasse una posizione significativa nello stato nella burocrazia, nell’economia era immediatamente identificato come tale; per quanto importante la sua posizione, difficilmente la cosiddetta buona società gentile lo avrebbe invitato, pur disprezzando il cosiddetto antisemitismo da strada, virulento e violento, in nome dell’amore per la legge e l’ordine che è la quintessenza dei valori sociali della comunità. Il liberalismo di matrice illuminista aveva favorito l’emancipazione in cambio dell’assimilazione. In Germania, la debolezza del liberalismo come forza politica finì, specie dopo la Prima Guerra Mondiale per nuocere agli ebrei di cui veniva continuamente rimarcata l’assoluta alterità rispetto ai valori della patria tedesca.

Allo sviluppo dell’antisemitismo “laico” contribuisce anche la nascita di una narrazione alternativa circa l’origine della civiltà: il cosiddetto “mito ariano”, derivato a sua volta dagli studi di orientalistica del primo ottocento, che hanno diffuso in occidente la cultura indiana più antica dei Veda, delle Upanisad e del Mahabarata. Per la prima volta l’origine della civiltà e dei valori occidentali sono separati dalla cultura giudaico-cristiana che li ha generati, per risalire ad una mitologia più antica, guerriera ed indoeuropea, di cui i Germani vengono considerati gli unici veri eredi ariani. La nuova cittadinanza tedesca viene associata al recupero dei miti e delle leggende tedesche, il cui più noto divulgatore è il musicista Richard Wagner , autore del lungo ciclo di opere liriche tratto dal Nibelungenlied (L’oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei ).

Il suo genio innovativo e drammaturgico, che ha plasmato l’opera lirica nelle modalità contemporanee, ha però diffuso i valori del pangermanesimo. Wagner infatti è uno dei più noti rappresentanti dell’antisemitismo tedesco, pur essendo lui stesso stato aiutato, nel corso dei suoi travagliati esordi, da musicisti ebrei come Meyerbeer o Mendelhsson – Bartholdy. Nello scritto Il giudaismo nella musica Wagner sostiene che gli ebrei non hanno alcun contatto con il popolo, che dominano una società ormai degenerata, cercando di assimilarsi al punto da dissolversi in essa. In tal modo l’ebreo perde anche la sua specificità culturale, come un ramo secco. “Il giudaismo non è altro che la cattiva coscienza della civiltà moderna”.

L’antisemitismo razzista e biologico

Una seconda culla per il movimento antisemita sta nelle numerose teorie razzistiche nate a vario titolo dall’ambito degli studi di tipo evoluzionistico, che spaziano in un ambito di scienze non soltanto naturali, ma anche umane: sociologia, antropologia, linguistica. Nel 1858 Ernest Renan pubblica Storia generale e sistema comparato delle lingue semitiche. Lo storico francese contrappone la civiltà ariana a quella semitica insistendo sul tema della razza. La razza ariana è dotata di ampiezza di vedute e profondità di pensiero, che sono l’eredità culturale lasciata dal politeismo antico, mentre la razza semitica è dogmatica e priva di spirito e rigore scientifico. Gesù costituisce un progresso rispetto al formalismo della religione ebraica. Renan non formula ancora una concezione delle razze umane come determinate biologicamente.

Alcuni anni più tardi De Gobineau pubblica il “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”. In esso la differenza fra le razze umane è determinata da criteri biologici, quale la forma e la grandezza del cranio, che sono causa di un diverso grado di sviluppo delle varie civiltà. Sinché le razze sono rimaste pure, la civiltà umana ha prosperato, mentre la mescolanza delle razze, in particolare ad opera dei semiti, ha provocato una generale decadenza. La razza rimasta più pura è quella ariana, prevalente in Germania e nella aristocrazia francese che discende dagli antichi Germani (la borghesia invece deriva dagli schiavi Gallo romani…) Anche De Gobineau si riallaccia ai miti orientali che vedono l’origine della civiltà sull’Himalaya, anziché nella cultura biblica. Nel Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1855), Gobineau suddivise le razze umane in gialla, nera e bianca, disponendole in gerarchia e attribuendo a ciascuna di esse determinate caratteristiche morali e psicologiche innate, a cui fa riferimento per sostenere la tesi della superiorità dei bianchi sui gialli e sui neri. I bianchi sono più armoniosi e belli e questa armonia si riflette nell’equilibrio e nella forza delle loro realizzazione politiche e culturali.

Nel 1892 Theodor Fritsch, animatore di gruppi e persino società segrete antisemite, nel Catechismo dell’Antisemitismo, dimostrò l’arianità di Gesù. Quest’opera costituisce una sorta di ponte tra l’antisemitismo in cui perdurano ancora gli stereotipi tradizionali dell’antigiudaismo e il razzismo sviluppato in coerentemente in senso biologico. Il maggiore rappresentante di questa corrente è H.St.Chamberlain, un inglese che vive in Germania, dove diviene genero di Wagner e suo collaboratore a Bayreuth, il teatro costruito dal suo mecenate, il re di Baviera, per la rappresentazione delle opere wagneriane. Chamberlain è influenzato dal darwinismo sociale, che applica i principi dell’evoluzione e della selezione naturale alle società umane. Ai due estremi ci sono da una parte le razze più giovani come quella teutonica o nordica, più forte ed elevata moralmente, dall’altro la razza semitica, la più antica, ma anche la più degenerata moralmente. Secondo Chamberlain i contenuti della Bibbia sono stati generati da altre culture, in particolare quella egizia, e poi assimilati dagli ebrei.

Antisemitismo e persecuzione in Russia: la teoria del complotto

Il legame tra antisemitismo culturale e persecuzione attiva è presente sin dall’inizio dell’età moderna, con la cacciata degli ebrei dalla Spagna (Gerush): ho usato volutamente la parola antisemitismo, in questo caso, poiché questa persecuzione non è solo religiosa, ma presenta, se non apertamente almeno nei fatti, un aspetto razziale (la limpieza de sangre). Prima di allora, oltre alla segregazione, all’obbligo di portare segni distintivi e a tutta una serie di limitazioni nel movimento e nelle attività economiche permesse, c’erano stati sporadici attacchi di violenza “dal basso”, sostenuti solitamente, quando non apertamente incoraggiati da Chiesa e sovrani laici, il cui comportamento presenta non poche ambiguità. Spesso tolleravano e favorivano la presenza degli ebrei, ma la loro situazione restava precaria e in balia di circostanze sovente fortuite.

Nell’Ottocento l’antisemitismo nei paese occidentali comincia ad assumere caratteri violenti con l’affaire Dreyfus: attacchi ad ebrei, negozi assaltati e devastati, lo stesso Dreyfus percosso in strada e il suo aggressore mandato assolto dal tribunale che riconosce che il popolo non ha accettato la sua innocenza. In Russia sin dagli anni ’80 avviene lo stesso fenomeno. Il governo, di fronte alla campagna di attentati e all’azione dei movimenti democratici, oltre alla repressione generalizzata e alle deportazioni, vara una serie di misure discriminatorie verso ebrei, come l’estensione del servizio militare, la limitazione all’accesso alle università, la residenza coatta. A queste si accompagnano esplosioni di violenza dal basso, realizzate però con il pieno appoggio dell’autorità, che vedono nei pogrom un modo di deviare il malcontento popolare verso un comodo capro espiatorio (nel mondo orientale gli ebrei sono spesso piccoli commercianti e artigiani, dal reddito molto basso, ma dalla elevata visibilità per i loro usi e le loro pratiche religiose).

Opera di agenti agli ordini del generale Ratchkovskij, alto funzionario della polizia segreta zarista, l’Ochrana, sono anche “ I protocolli dei savi anziani di Sion” che diffonde la teoria del complotto degli ebrei per dominare il mondo attraverso da un lato l’azione dei sindacati e dei movimenti socialisti e dall’altro attraverso il capitale finanziario e la massoneria. I Protocolli sintetizzano un’ampia letteratura antigiudaica pubblicata in Russia, come l’Ebreo sta avanzando (Zid idet) di Vsevolod Vladimirovič Krestovskij con l’idea del complotto occulto (in questo caso di un gruppo di rabbini).

I Protocolli sono un libro di straordinario successo: nonostante un’indagine interna ordinata dal ministro Stolypin abbia scoperto l’origine del documento, e quindi la sua falsità, nonostante che lo stesso zar Nicola II abbia ordinato di impedirne la stampa, le edizioni si susseguono. L’apparato militare fa pressione sulla chiesa e sulla magistratura: sino agli inizi del ‘Novecento si susseguono le accuse e i processi per omicidio rituale, ma la Chiesa e la magistratura si mostrano, nella maggior parte dei casi, indipendenti nel loro giudizio. Questo accanimento contro gli ebrei è spiegabile osservando le statistiche degli arresti: la percentuale degli ebrei processati per motivi politici è nettamente superiore al rapporto tra popolazione ebraica e popolazione complessiva, e questo li rende particolarmente sospetti.

Del resto i pochi ebrei che riescono a terminare gli studi non possono non agire per cercare di migliorare le spaventose condizioni in cui vivono. I pogrom russi, rivolte popolari contro gli ebrei, in particolare quello di Kishinev (Pasqua 1903) sollevarono una vasta eco anche in Europa, di simpatia verso gli ebrei ( ma anche di plauso verso gli assassini, come abbiamo visto): i banchieri ebrei come i Rothschild rifiutarono ulteriori prestiti alla Russia, il valore delle obbligazioni russe crollò, ma la persecuzione non cessò. L’alternativa rimasta agli ebrei era o l’emigrazione (sino al 1910 più di un milione e mezzo di persone partì, la maggior parte vedo gli Stati Uniti) o la conversione al cristianesimo , o l’autodifesa e la militanza politica, sia nel movimento sionista fondato in Austria da Theodore Herzl sia nel Bund, il partito operaio ebraico, che vengono fondati entrambi nel 1897, sia nei vari movimenti di ispirazione liberale, socialista e marxista.

Dopo la Prima Guerra Mondiale e la rivoluzione russa, vi sono altri movimenti antiebraici come il pogrom di Simon Petliura in Ucraina, che si inscrivono all’interno della lotta antibolscevica. La Rivoluzione Russa, dove agisce un gruppo dirigente di origine ebraica, e i successivi accordi di Brest Litovsk, che provocano il ritiro della Russia dall’Intesa, vengono attribuiti agli ebrei anche dalla più autorevole stampa occidentale, come il Times di Londra, e L’homme enchainé di Clemenceau. Lo stesso Times, in una recensione del 1920, sembra incline ad accettare l’autenticità dei Protocolli, salvo essere smentito l’anno successivo da uno dei suoi stessi giornalisti, Philip Graves, che in una serie di articoli ricostruisce tutta la storia del falso.

Un antisemitismo “di sinistra”?

Resta da esaminare un ultimo tipo di antisemitismo, che Poliakov definisce “la rivincita degli atei”. Si tratta di quello anticapitalista. Già il socialista francese Pierre Proudhon considerava l’ebreo come il principe del male, Satana, Arimane, insomma il male incarnato, un essere fraudolento e parassita che non è né lavoratore, né industriale e né veramente commerciante; la sua nefasta influenza nella società è un segno della decadenza dei tempi, che Proudhon associa alla diminuzione del numero dei coscritti, all’imbastardimento delle razze cavalline (!) e all’emancipazione femminile, cui era risolutamente contrario…

Si tratta probabilmente di ossessioni personali, che culturalmente non derivano tanto dal socialismo riformista, quanto, almeno come linguaggio dai tradizionalisti romantici francesi come Bonald. L’ostilità contro gli ebrei è infatti assente tra i socialisti francesi degli anni ’40 dell’Ottocento; anzi i vari Blanqui, Blanc e Fourier spesso prendono le difese degli ebrei. Si potrebbe dire che l’antisemitismo come la religione sia quasi un fatto privato.

Tuttavia, una delle opere giovanili di Marx, Die Judenfrage (La questione ebraica), ha caratteristiche molto diverse. Marx ignora e rinnega le proprie origini ebraiche polemizzando in generale contro la religione. Religione e stato sono due entità inscindibili all’origine di due profonde forme di alienazione. Il vero Dio d’Israele è il denaro e gli ebrei sono legati da interessi puramente materiali che nascondono attraverso la diversità religiosa. È inutile parlare di emancipazione degli ebrei, come si chiedeva anche in Germania nel 1840, l’emancipazione dell’ebreo è l’emancipazione dell’ebraismo – e Marx ignora le masse ebraiche proletarie oppresse e sfruttate nella vicina Polonia. Con questi precedenti e identificando l’ebreo con il capitalismo finanziario il socialismo della prima e della seconda Internazionale è piuttosto ambiguo nel suo atteggiamento verso gli ebrei.

Lo stato antisemita e la Shoah

Il totalitarismo hitleriano fa dell’antisemitismo un aspetto fondamentale della sua ideologia e un principio necessario della sua azione politica. Il saggio ormai classico di Hannah Arendt “Le origini del totalitarismo” (1951) analizza le origini del totalitarismo proprio a partire dalla condizione degli ebrei nella seconda metà dell’Ottocento, così come noi l’abbiamo delineata nei paragrafi precedenti, individuando nell’ affaire Dreyfus e nell’imperialismo di alcuni stati europei, in particolare della Germania, i fattori scatenanti dell’antisemitismo di massa.

Il totalitarismo è una nuova forma di stato diversa dalle altre forme di “governo degli uomini” (Bobbio) che si sono presentate nella storia come la dittatura dell’antichità o più recentemente il regno di Napoleone I o Napoleone III. Lo sfondo del totalitarismo è una società di massa, all’interno della quale agiscono partiti e istituzioni di tipo parlamentare. Il movimento che fa capo ad un leader carismatico (tema questo non utilizzato dalla Arendt, ma analizzato già nel 1920 da Max Weber) si contrappone ai partiti tradizionali in nome di una forza decisionale e di identificazione personale organica che superano per rapidità efficienza e solidità l’istituzione giuridica.

Il nucleo centrale dell’ideologia totalitaria è l’obbedienza e questa risposta identifica nell’opposizione radicale alla modernità e ai suoi valori di libertà la chiave per comprendere, almeno in parte il successo del movimento nazista. Hitler voleva fare risorgere, nello stato razziale, il popolo tedesco e la sua identità nazionale e il suo passato mitologico dalla sconfitta subita nella Prima Guerra mondiale. L’antisemitismo, sin dalla pubblicazione del Mein Kampf è il coagulante necessario per riunificare l’opinione pubblica tedesca in una sola unità. Benché più esteso e onnipervasivo delle forme di antisemitismo preesistenti, quello nazista è diverso e originale rispetto al passato.

Troviamo l’unificazione delle due differenti forme di complotto, quello degli ebrei rivoluzionari da una parte, e della finanza internazionale dall’altra, cui si unisce il razzismo ariano della Germania come nazione giovane e forte. Ecco allora gli ebrei incolpati della pugnalata alle spalle, della sconfitta della Germania, mai battuta, secondo la narrazione della destra militare, sul campo di battaglia, e questo, nonostante l’alto numero di caduti di religione ebraica nella Prima Guerra Mondiale. Gli ebrei rappresentavano perfettamente quegli ideali di democrazia, pacifismo e internazionalismo che il nazismo combatteva e non rientravano nell’idealtipo tedesco, come gli zingari. Questo era sufficiente per determinare la loro appartenenza ad una razza geneticamente diversa.

Non mancavano nemmeno le ragioni economiche, come il desiderio di appropriarsi di ricchezze e posizioni detenute dagli ebrei in Germania in nome di una razionalizzazione organica dell’economia. Al governo liberale il nazismo e il fascismo prima di lui sostituiscono un sistema militare, costituito dal partito, da organizzazioni paramilitari e dalla polizia: l’elemento chiave è il terrore, che permea di sé ogni livello sociale, l’antisemitismo razzista il suggello ideologico.

Il libro di Zygmunt Bauman Modernità e olocausto (1989) aggiunge a questi alcuni altri elementi. Riprendendo il tema del capo carismatico caro a Weber, Bauman rileva come tra il capo, il gruppo dei suoi seguaci “della prima ora” e il resto del Volk ci fosse una burocrazia del partito che trasformava la volontà del leader in legislazione e la faceva rispettare. Uno dei primi provvedimenti del nazismo, all’indomani della presa del potere, fu ad esempio l’espulsione degli ebrei dalle università tedesche. Questi provvedimenti, si accompagnano ad altri che pongono le basi dello stato razziale, come la sterilizzazione volontaria o coatta degli asociali e degli affetti da malattie trasmissibili per via ereditaria.

Segue negli anni successivi uno stillicidio di provvedimenti discriminatori volti ad accentuare l’isolamento degli ebrei nel mondo tedesco, che culminano con le leggi di Norimberga del 1935. Esse ratificano il processo di espulsione degli ebrei dalla società stabilendo che solo chi ha sangue tedesco può essere cittadino e vietano qualunque contatto sia di lavoro, sia sentimentale o sessuale tra appartenenti a razze diverse. L’unica concessione che viene fatta alle necessità di un paese sulla via del riarmo riguarda i meticci (Mischlinge): con un regolamento successivo, i figli di matrimoni misti vengono assimilati ai tedeschi a meno che non siano a loro volta sposati con ebrei o membri attivi della comunità ebraica. Solo in uno stato moderno, strutturato burocraticamente e gerarchicamente, si potevano applicare in maniera tanto minuziosa i presupposti delle leggi di Norimberga e controllare il consenso con la repressione e la violenza.

Secondo alcuni storici (Kershaw e Fest in particolare) il fascismo italiano, anche se precedente al nazismo tedesco, non arriva mai completamente a realizzare il totalitarismo perfetto e assoluto; la definizione si applica soltanto a Germania e Urss. La storiografia italiana più recente, al contrario, in particolare Gentile, non considera la presenza della Monarchia e della Chiesa Cattolica istituzioni e centri di autorità se non di potere alternativi a quello dello stato fascista. Il fascismo è il totalitarismo originario, e nella seconda metà degli anni trenta elabora una propria forma di antisemitismo di stato originato in un contesto molto diverso. Fu essenzialmente un atto di politica interna, ma legato sia alla presenza di leggi e provvedimenti antisemiti in tutta Europa, dalle leggi di Norimberga naziste, ai provvedimenti in Romania e Polonia, sia all’isolamento internazionale conseguente alla guerra d’Etiopia.

L’avventura in Etiopia fece emergere un fenomeno, quello del madamato, già presente e tollerato nelle colonie italiane. Si trattava di forme di convivenza tra bianchi colonizzatori e donne locali: i funzionari coloniali erano uomini, lontani dalle famiglie e spesso impossibilitati a sposarsi, e la presenza di donne serve e ancelle sessuali, serviva anche ad arginare il fenomeno della prostituzione. Già a partire dal Novecento nelle colonie inglesi e francesi questa pratica era stata scoraggiata, favorendo i ricongiungimenti famigliari per creare una vera e propria società bianca che si sovrapponesse a quella indigena, ma nei domini italiani questo non era avvenuto.

All’inizio della guerra contro l’Etiopia Mussolini si mostrò preoccupato per i possibili rapporti interrazziali tra coloni e indigeni e sin da subito una serie di normative vennero emanate per limitare il fenomeno, sino alla proibizione, nel 1937, dei matrimoni misti. Questo aveva lo scopo di limitare il più possibile la presenza di meticci la cui presenza sarebbe stata un problema giuridico e sociale. La soluzione è la definizione di una “razza italica”, la cui presenza applica una gerarchizzazione in senso biologico rispetto alle minoranze: gli indigeni prima, e dopo circa un anno gli ebrei.

Nell’estate 1938 un gruppo di antropologi e biologi elaborano il Manifesto degli scienziati razzisti (noto come Manifesto della razza) Nel Manifesto si sostenevano la concezione biologica del razzismo, l’esistenza di una pura razza italiana e la non assimilabilità degli ebrei, che costituivano una razza non europea. In una lettera al genero Galeazzo Ciano, da lui riportata nel suo diario, Mussolini sostenne di aver dettato a Landra, il principale estensore del Manifesto, la quasi totalità dell’elaborato. Il 21 novembre 1938 il re Vittorio Emanuele III firma la promulgazione delle leggi. Nella definizione di chi sia ebreo, tuttavia, emergono difficoltà, poiché gli ebrei non sono una “razza”, neppure nell’accezione biologica dell’epoca, poiché all’interno del gruppo non vi sono caratteri fisici uniformi. Chi è ebreo, secondo la definizione della legge italiana?

  1. Il discendente di 4 nonni di <razza ebraica>;
  2. Il discendente di 3 nonni di <razza ebraica>;
  3. Il discendente di 2 nonni di <razza ebraica> a meno che un genitore misto ed egli stesso appartenessero a religione diversa da quella ebraica e non avessero dato <manifestazioni di ebraismo> (ad es. iscrizione a una comunità ebraica o il matrimonio con persona classificata di <razza ebraica> o la presenza di figli classificati di <razza ebraica >.

La cosa più importante, tuttavia, è l’applicazione delle leggi razziali, che vengono estese all’ambito politico, amministrativo, economico, scolastico. Molti ebrei avevano sin dall’inizio appoggiato il fascismo, partecipando alla marcia su Roma. Per questo, la promulgazione delle leggi razziali costituisce un vero e proprio colpo imprevisto, che crea una grave frattura in una minoranza perfettamente (sino ad allora) integrata e che in pochissimo tempo si scopre non solo “diversa”, ma additata come nemico dell’ordine sociale. Gli ebrei vengono espulsi dal Partito Fascista e dall’Esercito. Poi vengono colpite le amministrazioni pubbliche di ogni tipo e le società a controllo pubblico, le banche di “interesse nazionale”, le assicurazioni. Gli ebrei sono allontanati:

  • dalla direzione di imprese dichiarate di interesse nazionale, del settore bellico o con almeno 100 dipendenti;
  • dagli alberghi;
  • dal commercio di preziosi, dai noleggi pubblici, dal lavoro di portineria;
  • da ogni impiego nel settore dello spettacolo;
  • da ogni tipo di libera professione (dal medico al notaio) se non per i propri correligionari.

Inoltre viene decretata la confisca dei terreni di valore superiore a 5000 di estimo catastale, e dei fabbricati di valore superiore a 20000 lire. Ancora più grave l’applicazione nelle scuole. Vengono allontanati da ogni ordine di scuola i docenti e gli allievi di origine ebraica. Le comunità devono affrettarsi a organizzare scuole private, dove spesso trovano lavoro docenti prestigiosi allontanati dalle Università; questo però è possibile quasi solo nelle grandi città, dove c’è un numero di studenti sufficiente per organizzare l’insegnamento dalle elementari al liceo. Molti divieti sono inutilmente vessatori come quello di consegnare le radio, o non tenere “ariani” al proprio servizio, o ancora dedicarsi al commercio di stracci (da secoli l’attività prevalente tra gli ebrei romani).

L’EGELI (Ente gestione beni ebraici e nemici) si incarica della confisca e della gestione dei beni degli ebrei, creando così un contenzioso difficile da sanare quando, dopo la fine della guerra, superstiti ed eredi cercheranno di rientrare in possesso dei loro beni.

La persecuzione dei diritti, particolarmente stringente nel momento in cui l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, si trasformerà, dopo il 1943, nella persecuzione delle vite, costringendo gli ebrei a nascondersi o a fuggire. Nondimeno 7800 ebrei italiani verranno deportati nei lager nazisti: la maggior parte di loro non farà ritorno.
La questione interpretativa del rapporto tra stato totalitario nazista e sterminio degli ebrei ha prodotto nel tempo diverse visioni di cui qui si dà un sintetico elenco.

La prima e più diffusa è quella dello “sterminio volontario” (tesi intenzionalista o personalista). Secondo questa tesi Hitler avrebbe avuto sin dall’inizio l’idea di annientare fisicamente tutti gli Ebrei. La cosiddetta soluzione finale era quindi considerata la diretta espressione del programma antisemita di Hitler, così come era stato esposto in Mein Kampf, dunque un elemento connaturato al totalitarismo nazista, presente nella sua ideologia e nelle sue politiche attive. In questo modo sia la politica eugenetica del nazismo (con l’uccisione dei disabili e dei malati mentali), sia la Shoah (che fra l’altro furono condotte dagli stessi individui) sono elementi fondamentali della costruzione dell’ordine nuovo di cui parlava Hitler. La “guerra contro gli Ebrei” era collegata per lo più con l’esperienza personale di Hitler nel primo conflitto mondiale, in cui si era fatto ampio uso dei gas (Dawidowicz 1975). Vi sarebbe un collegamento diretto tra l’antisemitismo personale di Hitler (sin dalla sua gioventù) e le prime fucilazioni di massa di Ebrei tedeschi  nel forte IX a Kovno (Kaunas in Lituania), il 25 e il 29 novembre 1941 (Fleming 1982). Questa è la tesi sostenuta da Raul Hillberg (La distruzione degli Ebrei europei, 1985) da Poliakov, da Laqueur, e più recentemente da Goldhagen (cfr. il cap.I di I volonterosi carnefici di Hitler, 1996): l’antisemitismo eliminazionista era diffuso nella Germania hitleriana, era tipico della cultura tedesca e affondava le sue radici nell’odio antiebraico religioso nato ancora prima della Riforma protestante. In questo modo, non solo i nazisti fanatici e le SS, ma uomini e donne di ogni ceto sociale e all’interno di tutte le strutture dello stato, dai ministeri alle ferrovie al commercio, sono stati attivi collaboratori dello sterminio, non solo attraverso le uccisioni dirette, ma attraverso l’indifferenza, il silenzio, l’adesione acritica e ideologica agli ordini dati. Il libro di Goldhagen ha suscitato un ampio dibattito e molte delle sue tesi, in particolare la generalizzazione delle responsabilità all’intero popolo tedesco, sono state fortemente criticate, tra gli altri dallo stesso Hillberg, per un uso superficiale delle fonti. Il libro di Goldhagen si basava sulle stesse fonti utilizzate da Christopher Browning nel suo Uomini Comuni (1992), e ne contestava l’interpretazione. Browning studia, attraverso le fonti d’archivio disponibili, le vicende del Battaglione di Polizia 101 che operò nella zona di Lublino nel 1942. I membri del battaglione erano riservisti ultraquarantenni, quasi tutti provenienti da Amburgo e dalle zone limitrofe, “uomini comuni” provenienti da diversi ambienti sociali, che tuttavia si macchiarono di deportazioni e massacri, in particolare dello sterminio dell’intera popolazione ebraica delle cittadine di Josefow e Lomazy. Pochissimi chiesero di essere esentati dal servizio, nessuno di quelli che lo fece subì punizioni o pressioni. Browning argomenta, usando a posteriori l’esperimento di Milgram, che la pressione sociale, il conformismo, lo spirito di corpo in guerra, uniti alla martellante propaganda antisemita, resero questi uomini degli esecutori privi di ripensamenti morali.

Una seconda, molto controversa, interpretazione (tesi funzionalista) sostiene che lo sterminio degli ebrei è uno strumento necessario, ma contingente, alla guerra ideologica contro l’URSS. In caso contrario, la politica di Hitler si sarebbe “accontentata” della segregazione e della espulsione “eventuale”, con qualche pogrom “spontaneo” come la “notte dei cristalli”. Questa tesi si ricollega alla presenza di saltuarie esplosioni di antisemitismo in Europa subito dopo la prima Guerra Mondiale, ad esempio in URSS dopo la guerra e la rivoluzione (esplosioni che si sarebbero ripetute anche in epoca staliniana). Giustifica inoltre l’adesione tardiva del fascismo all’antisemitismo, al momento della alleanza con la Germania, e nega anche la specificità dell’antisemitismo fascista italiano. In questo modo però viene a mancare la tesi dell’unicità della Shoà come forma di sterminio programmato e lo si assimila ad altri grandi massacri del passato, tutti legati a circostanze eccezionali politiche e militari. La tesi di Arno Mayer (1988) è che l’antisemitismo non giocò un ruolo così rilevante nello sviluppo del nazismo, e nel successo sul suo elettorato. Il nazismo è piuttosto un coacervo di nazionalismo radicale, darwinismo sociale, antimarxismo e antibolscevismo e anche antisemitismo, unito al revanscismo nato dopo la Prima Guerra Mondiale. Il libro di Mayer suscitò al suo apparire fortissime controversie. Da alcuni, come la storica americana Lucy Dawidowitz, fu messa in evidenza la debolezza di alcune affermazioni (come non considerare i massacri di ebrei avvenuti subito dopo l’occupazione della Polonia) e il sotterraneo giustificazionismo nei confronti della Germania, tanto da accostarlo al revisionismo di Nolte, mentre altri come lo storico israeliano Yehuda Bauer, oltre a stigmatizzare la debolezza se non la mancanza di fonti sostengono che l’enfasi data alla lotta contro il bolscevismo costituisce la via privilegiata per la negazione della Shoah.

In anni più recenti è pressoché caduta la contrapposizione tra intenzionalisti e funzionalisti. La storiografia si è particolarmente rivolta a ricostruire i passi e le linee organizzative che hanno condotto allo sterminio programmato. Si vedano in particolare i lavori ancora di Browning, e di Longerich, il cui recentissimo libro sulla conferenza di Wannsee rielabora gli spunti offerti dalle ricerche precedenti, per costruire una spiegazione più articolata: dimostrare che l’Olocausto non fu l’esito di un’unica decisione presa a livello centrale ma il risultato di un esteso e complesso processo che vide Hitler, istanza primaria del Terzo Reich, sviluppare e avviare gradualmente, da una generica intenzione di distruggere gli ebrei, un programma di genocidio in stretta collaborazione con altri componenti dell’apparato di potere, come l’esercito, il Ministero degli Esteri, della Giustizia, dell’Economia .

L’antisemitismo del secondo dopoguerra

Si potrebbe supporre che dopo il 1945, alla luce dei progressi scientifici, e dell’esperienza della Shoah, l’antisemitismo sia stato dimenticato. In realtà questo non è accaduto. Sebbene le chiese cristiane, in particolare quella cattolica, hanno ripudiato l’antigiudaismo del passato, arrivando a definire l’antisemitismo un peccato, con papa Giovanni Paolo II, l’antisemitismo, specie in Polonia, non è spento e vi sono stati parecchi episodi di violenza contro i sopravvissuti che culminano nel pogrom di Kielce nel 1946. In Unione sovietica, pochi anni prima della sua morte, Stalin riprese a perseguitare gli ebrei.

L’antisemitismo contemporaneo dunque esiste e ha assunto diverse forme e ripreso vigore. Quest’ultimo paragrafo tenta una se pur parziale classificazione:

  1. Antisionismo. Il sionismo come movimento politico, volto a costruire uno stato ebraico nei luoghi della storia ebraica antica nasce e si sviluppa come risposta ad episodi di antisemitismo aggressivo come l’affaire Dreyfus e i pogrom russi. Il giornalista Theodor Herzl fonda nel 1897 un movimento politico e laico, attivo in particolare nell’Europa orientale dove si diversifica in varie componenti, che vanno dal nazionalismo dei “revisionisti” al socialismo al messianismo religioso.
Vent’anni dopo il primo congresso sionista, e dopo infruttuose trattative con molti stati europei incluso il Vaticano, la dichiarazione Balfour (1917- possibilità di costituire un “focolare ebraico” in Palestina) apre possibilità politiche concrete, che il blocco dell’immigrazione negli anni ’30 e l’opposizione della Gran Bretagna alla fine della guerra sembrano portare al fallimento. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi cercano di entrare più o meno legalmente in Palestina, sovente arrestati e internati a Cipro. Per sanare la crescente tensione tra ebrei e arabi, l’Onu presenta un piano che prevede la spartizione della Palestina tra le due comunità, piano rifiutato dagli arabi. Alla proclamazione dello stato d’Israele scoppia una guerra tra il nuovo stato e i paesi arabi confinanti che si conclude con la loro sconfitta militare e con il riconoscimento del nuovo stato da parte della comunità internazionale.
La presenza di Israele, e ancora prima l’immigrazione ebraica, fa nascere nei paesi arabi e in generale nel mondo musulmano un antisemitismo politico prima che religioso, alimentato dal nascente nazionalismo di questi paesi. I discorsi del Gran Muftì di Gerusalemme, che durante la guerra fu ricevuto da Hitler, riecheggiano frequentemente “I protocolli dei savi anziani di Sion”.
    Le complesse vicende mediorientali, in particolare la guerra dei Sei Giorni e la nascita della questione palestinese ha favorito il nascere, in Europa ed in altre parti del mondo di un antisionismo che sovente non è stato altro che una forma appena mascherata di antisemitismo. Questo è stato comune in parecchi movimenti anticapitalisti e antiimperialisti che hanno associato Israele al suo più importante alleato nell’area, gli Stati Uniti. Negli ultimi anni questo si è concretizzato nel movimento BDS (Boycott, Disinvestment, Sanctions): iniziato dalla Lega Araba, si è diffuso in occidente, grazie anche ad una dichiarazione dell’Onu del 1975, che paragonava il sionismo al razzismo (poi ritirata nel 1994). Negli ultimi anni tuttavia, e in particolare dopo il 2001, si è manifestato un movimento eguale e contrario di simpatia verso Israele, anche a seguito delle vicende legate al terrorismo islamista. Vi sono poi stati come l’Iran, che mantengono, oltre al rifiuto dell’esistenza di Israele, il negazionismo: l’ex presidente iraniano Ahmadinejad a più riprese (2005, 2008 in particolare) sostenne non solo che Israele doveva essere “cancellato dalla faccia della terra”, ma che la Shoah era un’invenzione degli ebrei.
  2. Negazionismo
    La negazione dell’Olocausto, cosi come il minimizzare o il distorcere i fatti avvenuti in quel periodo, rappresentano una forma di vero e proprio antisemitismo. Chi nega la realtà dell’Olocausto nega anche la validità del gran numero di prove schiaccianti degli eventi di quegli anni e insiste che l’Olocausto non sia che un mito, creato per fini personali dagli Alleati, dal governo Comunista dell’Unione Sovietica e dagli Ebrei. La “logica” dei negazionisti sostiene che gli Alleati avessero bisogno del “mito dell’Olocausto” per giustificare l’occupazione della Germania nel 1945 e, successivamente, le “dure” pene chieste per gli imputati nazisti nei processi del dopoguerra. I negazionisti inoltre sostengono che gli Ebrei avessero bisogno del “mito dell’Olocausto” per ottenere i risarcimenti da parte della Germania e per giustificare la creazione dello stato di Israele. Infine, chi nega l’Olocausto crede che vi sia stata una grande congiura tra le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, gli Ebrei, e Israele per creare e diffondere il mito dell’Olocausto per fini personali. Come si vede il negazionismo si fonda almeno in parte sul mito della cospirazione mondiale di cui gli ebrei sono periodicamente accusati.
    Le argomentazioni principali dei negazionisti si fondano su due ordini di considerazioni.

    1. Non esiste un piano specifico per lo sterminio degli ebrei. Il verbale della conferenza di Wannsee parla solo di trasferimento. Non esiste un ordine diretto di Hitler che ordini lo sterminio di tutti gli ebrei. . Essi affermano inoltre che l’intenzione genocida dello Stato Nazista sia pura invenzione, così come sarebbero state fabbricate le migliaia di ordini, memorandum, appunti e altri documenti che provano la messa in atto di quel processo di distruzione. Oppure che questi stessi documenti sono stati deliberatamente travisati.
    2. i numeri della Shoah sono stati falsificati. Alcuni negazionisti sostengono poi che le “poche” vittime ebree furono uccise da cause naturali, oppure giustiziate dalle autorità naziste in quanto effettivamente colpevoli di atti criminali. Il negazionismo sostiene poi che gli Alleati e gli Ebrei abbiano deliberatamente gonfiato il numero dei morti; gli studiosi hanno stabilito che le vittime ebree dell’Olocausto siano state tra i 5.1 e i 6 milioni e per arrivare a tale cifra si sono serviti di fonti storiche accreditate e accessibili, nonché di validi metodi di ricerca demografica. Coloro che negano l’Olocausto affermano che l’incertezza del numero dei morti provi come l’intero evento dell’Olocausto sia stato fabbricato e che il numero effettivo delle vittime ebree durante la Seconda Guerra Mondiale sia stato considerevolmente esagerato. Dunque le camere a gas per uccidere gli Ebrei sono un’invenzione così come dei centri di sterminio. In particolare, essi concentrano la propria attenzione sul campo di Auschwitz e sono convinti che riuscire a dimostrare che i Nazisti non usarono mai le camere a gas per uccidere gli Ebrei in quel centro di sterminio proverebbe la falsità dell’Olocausto nella sua interezza.

La negazione dell’Olocausto su Internet, specie attraverso i social network, rappresenta un problema, soprattutto a causa della facilità e velocità con cui tale disinformazione viene diffusa. Negli Stati Uniti, dove il Primo Emendamento della Costituzione garantisce la libertà d’espressione, non è contro la legge negare l’Olocausto o diffondere i discorsi di odio razziale dei neo-nazisti e degli antisemiti. Francia, Austria, Belgio, Germania, Svezia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Polonia, Romania, Italia ma anche Canada e Australia hanno approvato leggi o norme che condannano la negazione della Shoah. In Francia, ad esempio, la “legge Gayssot”, dal nome del parlamentare che la propose, esiste dal 1990: Jean-Marie Le Pen, del Front National, è stato condannato in via definitiva sulla base di quella legge per aver pronunciato frasi che minimizzavano la Shoah. Il caso più noto, anche a livello giurisprudenziale, è Irving vs Penguin Books & Deborah Lipstadt. Nel 1996, il polemista inglese David Irving, che da tempo negava l’esistenza delle camere a gas, citò per diffamazione Deborah Lipstadt e il suo editore inglese Penguin Books davanti all’Alta Corte di Giustizia, sostenendo che la storica americana lo aveva sminuito e diffamato nel suo libro Denying the Holocaust (1993). Nel diritto inglese, l’onere della prova spetta alla difesa, dunque Penguin Books, oltre ad affidarsi a legali specialisti nel trattare casi di diffamazione, fece testimoniare gli storici Richard Evans, dell’Università di Cambridge, Christopher Browning, Peter Longerich, lo storico dell’architettura olandese Jacob van Pelt, lo studioso di scienze politiche Hajo Funke della Freie Universitat di Berlino. Lo scopo era dimostrare che Irving era un negazionista, Lipstadt aveva ragione nel descriverlo in questo modo, e questo perché la Shoah è accaduta, le camere a gas sono esistite, come è esistito un piano nazista per eliminare tutti gli ebrei. Uno storico degno di questo nome non avrebbe mai potuto negare questi fatti. L’11 aprile 2000 il giudice Gray, che era incaricato del dibattito, decise a favore di Lipstadt e Penguin Books.
Al negazionismo spesso si affianca l’antisemitismo di matrice razziale e razzista, comune nei movimenti di estrema destra e suprematisti in tutto il mondo, dal Ku Klux Klan e similari ai partiti dell’ultradestra europea anche italiana.

Deborah Lipstadt (da Jewish Women’s Archive)

Note
1. Per una sintetica ricognizione della storiografia sul nazismo e sul concetto di totalitarismo nazista, che non è l’argomento di questa scheda si veda http://www.treccani.it/enciclopedia/nazionalsocialismo_%28Enciclopedia-Italiana%29/Bibliografia

BIBLIOGRAFIA
Della numerosa bibliografia sull’antisemitismo vengono qui citati soltanto quelli direttamente utilizzati per elaborare questa scheda.
Adorno, Frenkel Brunswick, Levinson, Sanford, La personalità autoritaria, Milano, Comunità, 1973 (1950)
Arendt, H., Le origini del totalitarismo, Milano, Comunità, 1967 (1951)
Barromi, J., Storia dell’antisemitismo, Genova, Marietti,1988
Bauer, Y, “A Past That Will Not Go Away”. In Michael Berembaum and Abraham J. Peck, eds., The Holocaust and History: The Known, the Unknown, the Disputed, and the Reexamined , Bloomington, IN: Indiana University Press, 1988,
Bauman, Z., Modernità e Olocausto, Bologna, Il Mulino, 1994 (1991)
Browning, C.R., Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale “in Polonia, Einaudi, Torino 1995(1991)
Browning, C.R., Verso il genocidio. Come è stata possibile la soluzione finale, Il Milano, Saggiatore,1998 (1992)
L.S. Dawidowicz, The war against the Jews, 1933 -1945, New York, Holt, Reinhart and Winston 1975
Fest, J, Hitler, Milano, Rizzoli, 1974-1976 (1973)
Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione. Roma/Bari, Laterza, 2002
Girard, Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1987(1987)
Goldhagen,D.J. , I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Milano, Mondadori, 1997 (1996)
Gozzini, G., La strada per Auschwitz, Milano, Bruno Mondadori, 1996
Hillberg, R., La distruzione degli ebrei d’Europa, Torino, Einaudi, 1995 (2voll.) (1985)
Hillberg, R, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Milano, Mondadori, 1994(1992)
Stalinismo e nazismo. Dittature a confronto, a cura di I. Kershaw e M. Lewin, Collana Biblioteca di storia, Roma, Editori Riuniti, 2002
Kershaw, I, Hitler 1889-1936, traduzione di A. Catania, Milano, Bompiani, 1999
Kershaw, I,Hitler 1936-1945, traduzione di A. Catania, Milano, Bompiani, 2001
Lewis, B., Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e un pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1990 (1986)
Longerich, P, Verso la soluzione finale. La Conferenza di Wannsee, Torino, Einaudi, 2018
Mayer A.J., La soluzione finale. Lo sterminio degli ebrei nella storia europea, Milano, Mondadori, 1990 (1988)
Mosse, G.L., La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania, Bologna, Il Mulino, 1984(1975)
Poliakov, L., Storia dell’Antisemitismo, Firenze, La Nuova Italia, 1974 (1955)
Pulzer P., German Antisemitism Revisited, Roma, Archivio Guido Izzi, 1999
Laurence Rees, L’Olocausto. Una Nuova Storia, Torino, Einaudi 2018
Todorov,T., Di fronte all’estremo, Milano, Garzanti, 1992 (1991)
Claudio Vercelli, Neofascismi, Torino, Edizioni del Capricorno, 2018,
Claudio Vercelli, 1938. Francamente razzisti. Le leggi razziali in Italia, Edizioni del Capricorno, Torino 2018.